“L’Italia è il Bel Paese”, “non mi tange”, “senza infamia e senza lode” . Sono frasi che vengono utilizzate nel linguaggio comune, ma hanno origine da una delle menti più eccelse della nostra letteratura, il Sommo Poeta. Dante Alighieri – che in realtà si chiamava Durante Alagherii de Alagheriis – è parte della nostra cultura tricolore, nonché padre riconosciuto della lingua che parliamo oggi. Ha ispirato poeti, scrittori, registi, fumettisti, astronomi e creatori di videogiochi; il suo volto è comparso sulle monete da 2 euro, e sin dalla metà dell’Ottocento sulle latte di una nota marca di olio di oliva che veniva esportato nelle Americhe, destinato alle comunità di emigrati italiani. Già, il volto di Dante, quel profilo riconoscibilissimo incorniciato da un cappuccio rosso, la corona d’alloro e un gran nasone. Era stato il suo collega Giovanni Boccaccio, suo più grande estimatore, a tramandarci la sua fisionomia: di mediocre statura, un po’ gobbo, con un naso aquilino, gli occhi grandi, una mascella pronunciata e avanzata rispetto al labbro superiore, con un volto sempre malinconico e pensoso. Insomma, una descrizione che ha lasciato pensare a tutti noi che il Sommo Poeta non assomigliasse esattamente a Brad Pitt.
In realtà Dante non era brutto. Si, beh, non era esattamente un bell’uomo, ma era meno brutto di quanto si sia sempre creduto.
Almeno questo è risultato da uno studio realizzato qualche anno fa da una squadra guidata da Giorgio Gruppioni, antropologo dell’Università di Bologna, che riuscì a realizzare al computer un volto i cui tratti somatici corrisponderebbero al 95 % a quello reale. I tecnici del laboratorio di realtà virtuale della II Facoltà di ingegneria della sede distaccata di Forlì dell’ateneo hanno creato addirittura vari possibili aspetti dell’aspetto del poeta, ma sempre e comunque senza il mento prominente che tutti disegnano. E col naso grande e storto, ma non proprio aquilino, pare a causa del setto deviato: il classico “profilo dantesco” è sparito quasi del tutto.
È attendibile questa ricostruzione? Pare proprio di sì, perché esiste un altro ritratto che lo riproduce giovane e bello: una tavola del 1470, proveniente dallo stacco di un affresco del Trecento, passata nel corso dei secoli nelle mani di numerosi nobili e collezionisti e finalmente giunta a noi per rivelare la sua identità. Attribuita al giottesco Puccio Capanna, la tavola mostra un Dante giovane e affascinante, “dai tratti dolci e dalle sembianze aristocratiche, con un viso sfilato dai grandi occhi riflessivi”, come spiegato dall’esperto Andrea De Liberis.
Bello o brutto che fosse, il Sommo Poeta ci ha lasciato un’eredità inestimabile, quella che la maggior parte di noi riesce apprezzare soprattutto “nel mezzo del cammin di nostra vita”.
A proposito: “Bel Paese” è l’espressione che usa per definire l’Italia nel canto XXXIII dell’Inferno. “Non mi tange” è una frase che Beatrice dice a Dante per tranquillizzarlo nel Canto II dell’Inferno. “Senza Infamia e senza lode” viene utilizzata dal Sommo poeta nel III canto dell’Inferno per indicare gli ignavi, quelle persone che si rifiutano di prendere una posizione.
In foto: La tavola del 1470 e la ricostruzione al computer del volto di Dante
Autore: Luca Masiello