“Il mio incubo fra le quattro mura”

Attualità | 25/3/2021

Marzo è il mese dedicato alle donne, e fioccano ovunque le iniziative per celebrare l’evento. Ma la violenza sulle donne non ha una scadenza, agisce costantemente nella quotidianità di molte, prende forme sempre nuove e sottili e sconvolge la vita delle vittime. Potrebbe toccare a noi, ad una nostra vicina di casa, ad un’amica: la violenza non deve essere mai tollerata in nessuna forma. L’amara testimonianza di una signora meranese – della quale tuteliamo l’identità per non esporla ad ulteriori rischi e vittima dell’ex marito che non si è mai rassegnato alla separazione – lo dimostra purtoppo a chiare lettere.

Se guarda al suo recente passato che cosa prova?
Paura, rabbia, frustrazione, rassegnazione, avvilimento, umiliazione. All’inizio non te ne accorgi nemmeno, non hai la capacità di capire che cosa stia accadendo attorno a te e dentro di te. Le prime riflessioni che ho fatto su me stessa è che io sono la causa del mio stesso male. Io sono il problema, io sono quella sbagliata e che lui ha ragione ad essere arrabbiato e insoddisfatto.

Quando è cominciato questo suo incubo?
Tutto è iniziato moltissimi anni fa con l’inizio del mio matrimonio, quando il mio neomarito mi insultava per farmi sentire inadeguata come donna. Le sue parole rimbombano ancora oggi nella mia testa: “Dove pensi di andare, chi ti credi di essere, ma chi ti vuole, non sai fare niente!”. Questo meccanismo costante, ripetitivo, ciclico diventa diabolico e si trasforma in un boomerang: arrivi a pensare che sei una persona sbagliata, brutta, terribile, anche se il mondo esterno ti manda segnali diversi. Ho tante amiche che mi vogliono bene, al lavoro non ho mai avuto problemi, ho una socialità che restituisce di me un’immagine diversa da quello che lui racconta di me. E allora perché tutto questo? Ancora oggi cucinare determinate pietanze mi mette ansia perché collego quell’episodio a momenti terribili, in cui lui mi diceva che non ero nemmeno in grado di cucinare.

Quando comincia a comprendere che tutto quello che stava vivendo non è normale?
Non subito, sono passati tanti anni di umiliazioni. Poi ogni volta che cercavo di staccarmi da lui, riprendevano le sviolinate amorose e io ho sempre rimandato la mia decisione di lasciarlo definitivamente.
Successivamente ho cominciato un percorso psicologico e di terapia e sono diventata consapevole del fatto che quella che stavo subendo era una vera e propria violenza psicologica e che il mio matrimonio, il mio legame, era divenuto tossico. Mi sono fatta coraggio e l’ho lasciato, con tutte le conseguenze di quell’azione.

Cioè, che cosa intende?
Lui non ha mai voluto accettare la separazione e ha cominciato a perseguitarmi: messaggi, telefonate in cui mi minacciava di morte, appostamenti sotto casa, al lavoro, mi spiava sui social o mi faceva spiare. Poi si pentiva e mi chiedeva scusa dicendo che non l’avrebbe fatto mai più, che aveva capito di aver sbagliato.
Un giorno, invece, non ricevendo alcuna risposta da parte mia, mi ha scritto: ti rovinerò l’esistenza, non sarai mai più felice. Un incubo.

Cosa è successo dopo?
Anni di convocazioni in tribunale, lettere di avvocati e denunce per stalking. In tribunale è depositato un fascicolo di più di 100 pagine fronte-retro di insulti e di messaggi minacciosi. Non riesco a leggere quelle parole senza provare ancora oggi paura e rabbia.

Si è sentita tutelata dalla legge e dalle istituzioni?
Non del tutto. Quello che ho subìto e quello che subiscono tante donne nella mia stessa situazione non si può generalizzare; ci sono dinamiche, sfaccettature e risvolti così diversi che la legge non riesce ad intervenire sempre in modo efficace e puntuale su ogni singolo caso.
Quello che mi fa davvero tanto arrabbiare, però, è che per essere dichiarata vittima di violenza devi essere zitta, inerme, passiva, impaurita. Se al contrario ti ribelli, rispondi, ti opponi alle minacce e alle offese, allora la tua posizione agli occhi del giudice cambia, il tuo racconto è meno credibile. E questo è inaccettabile.

Come vede il suo futuro?
“Finchè morte non ci separi”: lui non smetterà di tormentarmi, non accetterà mai la fine del nostro matrimonio. Ci devo convivere, è come combattere contro un tumore che a volte torna…

Questa esperienza cosa le ha tolto di più?
Il valore del tempo. La mia mente si è persa tra quei messaggi e ha dimenticato il valore del tempo: il tempo per me, la libertà di scegliere come trascorrere le mie giornate, invece di passare ore dietro la tendina di una finestra per vedere se mi stesse spiando. Il tempo per gli amici, per le risate, il tempo per sognare. Lui ha occupato il mio tempo per più di vent’anni.

IL PARERE DELL’ESPERTA

Sigrid Pisanu è una delle responsabili del Centro Antiviolenza – Casa delle donne di Merano e una delle consigliere della rete nazionale D.i.Re (Donne in rete contro la violenza). Da anni mette a disposizione la sua esperienza a favore della tutela dei diritti delle donne e con la sua associazione promuove progetti tematici nelle scuole.

Sigrid Pisanu

Quando parliamo di violenza all’interno delle relazioni pensiamo automaticamente a forme di aggressione fisica o sessuale. Cosa sappiamo invece della violenza psicologica?
Per violenza psicologica intendiamo tutte le forme agite da chi maltratta come l’umiliazione, la svalutazione della persona, i gesti per mettere in discussione la vittima come donna e come madre, le parole usate come armi per responsabilizzare la donna sull’agito dell’uomo. Le parole sono pesanti: “non vali nulla, non sei capace, dove pensi di andare, vuoi fare la patente, cucini sempre male, non sai tenere i bambini, non sei una buona madre,fai schifo, ti vesti male, guardati come sei messa…”. Poi ci sono le azioni di tipo sociale come l’isolamento della vittima per ridurre la socialità della donna con la famiglia e con gli amici, per poter esercitare meglio il controllo sulla vittima.

Quando la violenza psicologica entra nel vocabolario comune e come si manifesta?
Le prime battaglie sono state quelle contro la violenza sessuale prima e fisica dopo perché evidenti e riconoscibili. La violenza psicologica è riconosciuta dagli esperti, ma socialmente meno percepita; in questo caso il legislatore è stato più veloce e lungimirante rispetto ai cambiamenti sociali ed ha introdotto reati e pene specifiche per questa nuova forma di violenza. La violenza psicologica è più difficile e complessa perché non è dimostrabile: è sempre la parola della donna ad esplicitarla e oggi sappiamo che una dichiarazione non basta. C’è un sottofondo di pregiudizio duro a morire. Se ciò che racconta la donna è dimostrato allora diventa reale, altrimenti il suo racconto si sminuisce. Le donne si rivolgono ai centri antiviolenza per raccontare le loro storie, ma fuori non vengono prese abbastanza sul serio. Si gioca con le aggravanti a carico delle donne (“forse tu c’hai messo del tuo, hai provocato, sei una rompiscatole, hai risposto alle provocazioni”). Se non diamo valore a quello che raccontano le donne senza l’etichetta della vittima incapace di reagire, sarà difficile scardinare questo paradigma culturale.Qualsiasi forma di violenza va condannata.

Come giudica oggi le nuove generazioni? Saranno in grado di affrontare con maggiore consapevolezza il tema della violenza di genere?

In generale credo che oggi il tema della violenza di genere per le nuove generazioni non sia un tabù rispetto a quella delle mamme. Le tecnologie e i social media nel bene e nel male sono riusciti a dare maggior risalto ai racconti delle donne. Ci sono poi molte donne blogger che usano i canali social per rivendicare il ruolo della donna nella famiglia e nella società.

Quali sono i prossimi passi? Cosa c’è ancora da fare?
Dobbiamo lavorare sulla parte maschile e sull’educazione. Esistono luoghi dove recarsi per chiedere aiuto e farsi accompagnare in un percorso riabilitativo. Bisogna capire che certi agiti come sminuire, sopraffare e umiliare sono di fatto violenza. E che l’isolamento e il controllo sono anch’essi forme di violenza. Se impareremo, tutte e tutti, a riconoscere certe dinamiche, ci accorgeremo che c’è un’enorme differenza tra il conflitto e la violenza.

Autrice: Francesca Morrone

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