Con Niko Fyah per vivere il mondo del Reggae

Attualità | 3/4/2025

Si chiama Nicola Gasperi, ma tutti lo conoscono come Niko Fyah. Laureato in scienze dell’educazione, è da 15 anni collaboratore all’integrazione nelle scuole per ragazzi con disabilità ed ha una grande passione, il reggae. Si tratta di uno stile musicale (e di vita) che lo ha portato a calcare i palchi – come chitarrista prima e come bassista poi – con i maggiori esponenti nazionali di questo genere. Oggi ha deciso di mettere a disposizione la sua cultura organizzando il “Meranosplash: a culture Reggae Session”, una rassegna di film dedicata a descrivere ogni aspetto del reggae.

Niko Fiah, come nasce questa sua passione per il Reggae?

Da bambino ascoltavo tantissima musica, soprattutto italiana, che girava a casa grazie a mia madre e mio padre musicista. Fu proprio mio padre, quando avevo 13 anni, a portarmi un cd dicendomi “Ascolta questo disco che abbiamo fatto”. Era “Vibrazioni”, secondo album dei “We and Them”. Lo misi nel lettore e quelle sonorità mi colpirono da subito. Gli chiesi altro al riguardo, e da lì conobbi Bob Marley con “Legend”, e successivamente altri artisti fino ad addentrarmi sempre più nel genere, in una ricerca continua che… è ancora in pienissimo svolgimento, e la rassegna di film è solo una tappa lungo questo percorso!

Che cosa vi ha spinto ad organizzare questa rassegna?

Da un po’ di anni cerco di porre l’accento e mettere in evidenza gli aspetti culturali della mia musica, per cui l’idea di proporre dei film cruciali ed esplicativi di tutto ciò che sta dietro e dentro la cultura Reggae, con relativa spiegazione e discussione, mi sembrava un format decisamente interessante da proporre. Decisivo è stato, poi, il supporto di Luigi Cirimele che mi ha fornito organizzazione e spazi per mettere in pratica l’idea.

Bob Marley ha avuto il merito di portare questo stile in Europa, commercializzandolo e facendolo conoscere a tutti. Ma ci sono molti altri musicisti, quali i “Black Uhuru” o Alpha Blondy, che per il grande pubblico sono spesso degli sconosciuti. Chi, secondo lei, ha interpretato il reggae nella maniera più pura?

Domanda complessa e difficile… Dietro al reggae c’è un percorso storico, culturale, sociale che a mio avviso inizia quando gli europei sbarcarono sull’isola di Xaimaca (in lingua indigena) e quando portarono il primo schiavo dall’Africa. un percorso che passa attraverso quattrocento e più anni di schiavitù, sofferenza, lotta e ribellione che hanno contribuito allo sviluppo di un sentimento e di vari movimenti religiosi, spirituali, politici senza i quali probabilmente il genere non sarebbe emerso e forse nemmeno nato. Panafricanismo, etiopianismo, rastafarianesimo e successivamente gli ideali di autodeterminazione della Giamaica, hanno alimentato il messaggio e gli scopi della musica reggae, influenzando anche la stessa struttura musicale che affonda le radici nell’Africa. A mio modo di vedere chiunque interpreti il reggae portando una pulsione e vibrazione interiore ed un messaggio che dia speranza per un mondo migliore, lo interpreta nella maniera più pura. E questo pvale per Marley e per qualsiasi artista che creda e senta realmente questa musica.

Oggi chi rappresenta al meglio questo stile nel mondo?

è un’altra altra domanda che rappresenta una certa complessità… basti pensare che il reggae inteso come musica moderna giamaicana – insieme a ska, rocksteady, dub, roots, dancheall, digital e altre varianti – ha profondamente influenzato la musica moderna di tutto il mondo, non ultimi tanti dei generi che hanno dominato la scena internazionale. Il rap nasce quando un giamaicano porta a New York lo stile di “parlare” sulle basi. Lee “scratch” Perry e King Tubby, padri del dub, sono considerati da molti come precursori della musica elettronica, dei campionamenti, delle varianti più aggressive quali dubstep e drum’n’bass, e il ritmo base di batteria del reggaeton altro non è che “Dem bow” della dancehall superstar Shabba Ranks del 1992. Personalmente non vedo nessuno rappresentare questo stile nel mondo, ma vedo questo stile essere “dentro” gran parte della musica che vende e domina le charts e le piattaforme di ascolto e distribuzione. Forse Bob Marley, nonostante gli anni passati dalla morte nel 1981, è tutt’ora colui che meglio rappresenta il reggae: ascoltando “Redemption song” e pensando a come va il mondo ad oggi, non è forse una delle rappresentazioni più moderne e centrate?

Che impatto ha avuto il reggae nella musica italiana? 

“E la luna bussò” cantata da Loredana Bertè è una canzone di Mario Lavezzi (con testo di Oscar Avogadro e Daniele Pace) che senz’altro è stata fortemente influenzata dalla musica di Bob Marley. Musicalmente ha prestato il caratteristico ritmo in levare e quelle sonorità caraibiche ed allegre, ma nel mainstream è stato più un uso ritmico e commerciale che dal mio punto di vista non ha nulla a che vedere col reggae basato su una forte e decisa base di basso e batteria, i testi fortemente impegnati socialmente e politicamente e una certa tendenza agli accordi in minore. In Italia il reaggae si è diffuso dopo i concerti di Marley nel 1980 (Milano e Torino) e si è mescolato fortemente con l’ondata hip hop e il boom dei centri sociali e delle posse, con un messaggio fortemente politico e di protesta. In questa scena e dalle sue evoluzioni sono usciti artisti come Neffa o Subsonica, solo per citarne alcuni. Come gruppo di punta del “reggae italiano” secondo me si sono affermati gli Africa Unite, la maggiore e più longeva reggae band nostrana, che rappresentano al meglio gli aspetti politico-sociali e l’originalità e mescolanza musicale anche con suggestioni italiane. Un altro fortissimo impatto lo hanno avuto rispettivamente i Pitura Freska, portando il reggae in dialetto (venessian) a Sanremo, e i Sud Sound System portando il salentino fino alla Giamaica e trasformando il Salento nei “Caraibi d’Italia”. Un’influenza importante è stata poi quella dei pionieri del genere che a cavallo fra gli anni ’80 e i primi ’90 si cimentavano sui riddim (basi strumentali a disposizione dei singer per proporre la propria version), un periodo su cui sto iniziando a documentarmi e dove emergono nomi come quelli di Militant P dalla puglia e il Generale da Firenze, autore del primo 45 giri raggamuffin in italiano, intitolato “Non è un miraggio Roberto Baggio”.

Lei, oltre ad essere un teorico è anche un musicista. Ha sempre suonato reggae?

Si, dopo il colpo di fulmine col reggae chiesi a mio padre di darmi qualche dritta con la chitarra, e cominciai il mio percorso col primo progetto “Rebel Lion”. Se tanti chitarristi iniziano a suonare dalla “Canzone del sole”, io ho cominciato da “Stir it up” di Bob Marley, e da lì ho sempre proseguito nel genere crescendo attraverso le varie esperienze con “We and Them”, “Shanti Powa” (alle origini), “Myztic Lion & the Juggernaut Nation”, nuovamente “We and Them”, “Tuff riddim crew”, “Soul Familiy” e “Cool Rulers”, oltre a propormi talvolta come selecta o speaker con alcuni progetti e registrando alcune produzioni proprie. Mi sono tolto qualche soddisfazione come suonare due volte al Rototom Sunsplash (il maggior festival reggae d’Europa) ed aprire i concerti di “Africa Unite, Tre allegri ragazzi morti, Anthony B fino ai… The Kolors. Col il tempo poi ho capito che il mio strumento non era la chitarra, ma il basso.

E il basso è una componente decisamente importante in questa musica…

Si: basso e batteria sono la parte più importante, il cuore pulsante, il ritmo, la sofferenza e il riscatto. Se la batteria è il cuore, il basso è il cervello: senza di loro il corpo non può vivere, pensare, sognare.

L’Alto Adige è una zona fertile per questo genere…

“We and Them” è stata una delle band più importanti anche in Italia, dando slancio alla scena altoatesina producendo musica interessante. Ho avuto la fortuna e l’onore di suonare con loro nel terzo disco e dal vivo, come mio padre prima di me nel secondo. Non sono una persona che ha rimpianti, nel senso che penso che ogni cosa vada come debba andare, ma se avessi una macchina del tempo, mi piacerebbe vivere gli anni ‘90 del reggae con loro, provando tutte le sere e suonando tutti i giorni del weekend.Ad oggi ci sono realtà come Shanti Powa o Wicked and Bonny che partendo da una radice “reggae”, seppur più contaminata, hanno raggiunto un respiro internazionale, e questo non può che farmi piacere. Il reggae è condivisione, è vita!

MERANOSPLASH

“Meranosplash: a culture Reggae Session” è un progetto organizzato nell’ambito delle conferenze del Csr Palladio (primi due appuntamenti) e del progetto Vlc organizzato da Palladio (secondi due appuntamenti), che svolge nella sede della mediateca multilingue di Merano. Il progetto prevede la visione di quattro fra i principali film della cinematografia legata al mondo del reggae, con gli interventi di Nicola Gasperi in arte Niko Fyah, docente e musicista, per aiutare a comprenderne al meglio e più a fondo gli aspetti culturali, linguistici e sociali che vi stanno dietro. Il 13 e 20 marzo sono stati proiettati “The harder they come” e “Rockers”. Il 3 aprile è la volta di “Babylon” ed il 30 aprile “Bob Marley-One Love”.

Autore: Luca Masiello

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