Facciamo un focus sugli incontri, gli incubi e la speranza di Marina D’Amico che ha attraversato un lungo tunnel di malattia. Ma in fondo la luce c’era, e lei ha voluto raccontare la sua esperienza in un libro dal titolo “Anche Dostoevskij aveva l’epilessia”.
C’è stato un annus horribilis nella vita di Marina D’Amico, un’insegnante di Merano conosciuta in città anche per essere stata rappresentante del Wwf. Un anno in cui ha attraversato il tunnel della malattia al fondo del quale la luce c’era, ma lei per un po’ non l’ha proprio vista. Un anno fatto di diagnosi infauste o perlomeno molto preoccupanti, di entrate e uscite dal Pronto soccorso e dagli ospedali, di incontri con medici e infermieri più o meno empatici, di amici una tantum che “quando hai bisogno chiamami” e di quelli che se la danno a gambe e di molto altro ancora. Tutto ciò Marina D’Amico l’ha inserito in un libricino tascabile di 72 pagine, che è divenuto il racconto a volte anche ironico e specchio della nostra società, a tratti critico, ma anche pieno di speranza e tenacia e forza della vita, dal titolo “Anche Dostoevskij aveva l’epilessia”.
“Già perché è questo di cui si trattava – ci racconta oggi Marina D’Amico a distanza di anni – Avevo avuto strani episodi di assenza, così la chiamarono. Quando si intensificarono mi rivolsi ai medici che mi dissero che era epilessia e che si doveva indagare da dove arrivasse. Anche Dostoevskij ce l’aveva, mi disse il neurologo che mi visitò e questa frase mi rimase impressa ed è divenuta il titolo del libro che ho scritto”.
La diagnosi arrivò ben presto: aneurisma. E la decisione conseguente: operazione. “Ci misi un mese e mezzo prima di decidermi – racconta ancora D’Amico – ma la decisione era alle porte e la presi perché avevo incontrato un uomo che prima di essere un luminare nel suo campo era uno che mi trasmetteva tranquillità ed empatia e di qualcuno dovevo pur fidarmi. Era il professor Scienza”. Il libro di Marina D’Amico parla di molti incontri. Quello con i medici, quello con Costanza la vicina di letto, quello con il “principe”, quello che il luminare svedese che la operò, quello con un sacerdote, e quello con il cardiologo… “muto”. Una varia umanità che si attraversa e ti attraversa quando vivi un’esperienza traumatica e che ti mette nella condizione di dover accettare i tuoi limiti. “Non era tutto finito – racconta ancora D’Amico – e dovetti affrontare molti altri passaggi e traversie di salute (che ne libro sono raccontate, ndr) prima di arrivare a vedere quella luce in fondo al tunnel”. Esattamente un anno dopo, era il 2008, una mattina Marina D’Amico ha provato un irrefrenabile bisogno. “Stavo a letto leggendo un libro e le mie brutte avventure di salute erano ormai alle spalle, quando sentii dentro di me un irrefrenabile impulso. Fu come quando sta per venire su il caffè – scrive nella prefazione del libro – che ti devi affrettare e correre in cucina a spegnere il fornello per non farlo uscire gorgogliando tutto dal beccuccio della moka. Le parole affluivano e pretendevano di essere prese subito in considerazione (…) È nato così questo libro, per necessità e per obbedienza”.
Ai giorni nostri Marina D’amico è tornata alla vita normale e alla sua scuola, e può guardare con distacco a quel brutto periodo. Lo scorso anno, incoraggiata da persone che lo avevano letto, ha tirato fuori dal cassetto quel manoscritto che per oltre dieci anni è rimasto nell’oblio affidandolo ai tipi dell’editore Raffaelli di Rimini e alla lettura del pubblico.
Autore: Enzo Coco