“Il privilegio del mio lavoro? Il lato umano dei campioni” 

Attualità | 18/5/2023

Uno dei decani del giornalismo sportivo italiano è un cittadino di Bolzano. Per quasi  due decenni, Ezio Zermiani è stata la voce e il volto delle telecronache delle competizioni motociclistiche e automobilistiche sulla RAI. Ha interpretato il suo ruolo di inviato in pista con estro e inventiva, guadagnandosi sul campo la stima e l’amicizia dei tanti fuoriclasse raccontati in una carriera ricca di soddisfazioni. La nostra intervista.

Zermiani, come nasce la Sua passione per il giornalismo? 

Parte tutto dalla mia città, Bolzano. All’epoca degli studi universitari – studiavo Ingegneria a Bologna – avevo cominciato a collaborare come esterno con la sede Rai di piazza Mazzini. In quegli anni collaborai anche a programmi radiofonici famosi come “Chiamate Roma 3131”. Quando venni assunto in pianta stabile, nel ’75, cominciai ad occuparmi di cronaca nera e giudiziaria ed ebbi la possibilità di affrontare alcuni casi di cronaca che ebbero eco mediatica nazionale. 

Ci aiuta a ricordare quali?

Ad esempio, il delitto della perpetua della Val d’Ultimo, il cui processo venne rifatto tre volte. Poi mi interessai dei delitti di Marco Bergamo. Grazie alle mie inchieste, venne scagionato un portiere di notte che era stato inizialmente accusato di essere il responsabile dell’uccisione di una prostituta che in realtà era stata vittima di Bergamo. In seguito a questi casi, nel ’78 venni chiamato a Milano da Sergio Zavoli che aveva fondato il GR1. Non ci pensai due volte a trasferirmi in Lombardia.  

Lì ebbe inizio la sua seconda carriera, quella che la rese il giornalista per eccellenza del mondo dei motori.

In precedenza, ovviamente, avevo già fatto incursioni nel territorio del giornalismo sportivo. Ero appassionato di moto e macchine e chiesi se interessavano contributi per la Domenica sportiva. Iniziai con servizi sulla sicurezza nel mondo delle gare di motociclismo: un aspetto del tutto trascurato all’epoca, i piloti morivano come mosche. Quando cominciai, a fine anni ’70, era l’epoca dominata da Niki Lauda. Dai primi anni ’80 in avanti, ero sempre in trasferta per fare le telecronache di moto e F1. Posso affermare tranquillamente di aver fatto almeno una volta il giro del mondo. 

Qual è lo sportivo che più l’ha colpita?

Ho avuto modo di entrare in confidenza con grandi campioni come Prost, Piquet, Nannini, Alboreto, anche Alonso, tra i tanti. Ma il più grande per me rimane Ayrton Senna che purtroppo non è più tra noi.  

Chi era Senna, una volta smessi i panni del pilota di Formula Uno?

Era un uomo a tutto tondo. Non era solo il grande campione dell’automobilismo che tutti conosciamo. Dava una mano ai bambini di strada brasiliani, pagando loro cibo e istruzione, come oggi continua fare la fondazione che porta il nome. Era un pilota dall’animo nobile che faceva un lavoro pericoloso non per i soldi o la fama ma per aiutare chi ne aveva bisogno. Altri bei ricordi mi legano all’amico Michele Alboreto, purtroppo prematuramente scomparso, con cui facevamo una trasmissione insieme. Una volta, tra Natale e Capodanno dell’87, ci incontrammo a Maranello a provare in pista la nuova Ferrari da strada, la F40. Poi si decise di usare la macchina, non ancora omologata, per andare dalla famiglia di Michele e facemmo un servizio su quel folle viaggio da Modena a Milano. Il grande vecchio, Enzo Ferrari, si infuriò. Poi vide il servizio e mi mandò una nota per complimentarsi.  

Com’era il mondo del giornalismo sportivo, a quei tempi?

Era completamente diverso da oggi. Allora si viveva in simbiosi con i campioni sportivi, si riusciva a coglierne il lato umano, a conoscere le loro famiglie e le loro storie. Ti affidavano segreti e confidenze e tu dovevi scegliere di non raccontare alcune cose perché era un rapporto basato sulla correttezza, la fiducia e l’amicizia. A volte, con le loro famiglie e le nostre, facevamo le ferie insieme. Io ero solito intervistare i piloti sulle griglie di partenza, pochi secondi prima che schiacciassero l’acceleratore. Adesso è inimmaginabile. Ora ci sono conferenze stampa e interviste uguali per tutti, anche perché una parola di troppo, pronunciata nel momento sbagliato, può causare disastri finanziari. Noi abbiamo consumato tante suole delle scarpe per scovare le notizie e raccontarle. Oggi il pc e internet, che sono molto utili, forse ci hanno reso un po’ più pigri. Io rimango convinto però che il giornalismo vada fatto recandosi sui luoghi degli avvenimenti in prima persona, per vedere con i propri occhi e ascoltare i testimoni, come mi ha insegnato Sergio Zavoli.  

Autore: Nilo Ruggeri

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