Cosa ti rende felice?

Attualità | 8/4/2021

All’incirca un mese fa è comparso sulle passeggiate del lungo Isarco un albero ornato di piume e farfalle colorate, da cui pendono frasi delle poesie di Pablo Neruda e ai cui piedi poggia una domanda apparentemente banale: “Cosa ti rende felice?”. Scovata l’artista, Martina Buraschi, ha raccontato la sua storia.  

Come è nata l’idea? 
Con le mie amiche Elena, Eva e Sabrina abbiamo pensato di portare un po’ di bellezza e di gioia nel parco. L’idea è stata, prima ancora che fiorissero gli alberi, di vestirne uno spoglio con delle farfalle e delle piume, qualcosa che desse speranza e gioia alle persone che passano. La scritta “Cosa ti rende felice?” è lì proprio perché la gente non si pone più questa domanda. Dietro abbiamo messo anche altri quadri che sono lì per essere presi e portati via: chi vuole può prenderli, proprio perché la bellezza va condivisa.  

È legata alla situazione che stiamo vivendo?  
No! È una cosa che secondo me deve esserci sempre, perché corriamo troppo e non ci fermiamo mai per sorprenderci, per lasciarci stupire dalla bellezza di quello che abbiamo intorno. È lì per sensibilizzare le persone. 

Come reagisce chi passa di lì?  
Le persone si fermano, guardano, chiedono. Chiedono sempre se sei parte di un’associazione, non ammettono che il singolo possa fare qualcosa. Sono molto colpite da questa cosa, non sono abituate alla gratuità. La gente mi ringrazia, perché dice che ho fatto qualcosa di bello per il parco. Una ragazza ci ha detto, per esempio, che si era arrabbiata con una persona perché aveva preso un quadro. Abbiamo risposto che non doveva arrabbiarsi perché i quadri sono lì per essere presi. È rimasta stupita, e allora ho fatto scegliere anche a lei un quadro da portarsi via, perché è bella la gratuità.   

Come ha scoperto l’arte?  
Ho scoperto l’arte quando mi hanno diagnosticato il Parkinson. Da lì ho dovuto rallentare un po’ tutto nella mia vita. Sono sempre stata un’amante della natura e ho iniziato a vedere negli alberi cose da pitturare. Poi ho incontrato delle ragazze che come me sono molto sensibili all’arte. Siamo un gruppo di amiche, ed è molto bello, perché la forza delle donne sta nelle donne, nello stare insieme. Le donne, secondo me, sono molto forti se sono unite.  

A cos’altro si dedica? 
Oltre a questo, io sono un’infermiera, ma non posso più veramente fare questo lavoro. Però ho creato questa figura, all’interno dell’ospedale, e accompagno i bambini che devono affrontare delle lunghe terapie facendoli dipingere. Nella sala di ADMO abbiamo poi creato una donna-albero che simboleggia la vita, sul quale è attaccato un cuore per ogni donatore. È un rito che adesso facciamo sempre: quando qualcuno dona, attacca un cuore con il suo nome sull’albero. Un altro compito importante è quello di decorare la sala dove vengono accolte le donne che attendono l’esito della mammografia, perché è molto spoglia e bianca. Insieme alle colleghe vogliamo renderlo un posto accogliente per sostenere le donne in un momento così delicato.  

Cosa la spinge a fare tutto ciò?  
Ho sempre pensato a quale fosse il mio scopo nella vita, e siccome non so ancora esattamente quale sia, almeno quello che so fare lo faccio per gli altri, per quello che serve. Non sono fautrice di niente, da sola, ci sono molte persone che mi sostengono. Tutti possono fare qualcosa, non sono io ad essere brava, forse ho solo più coraggio degli altri. Ecco, ho meno inibizione; c’è gente più brava di me che si crea molti problemi a fare le cose, invece bisogna proprio farle, bisogna buttarsi in questa vita. 

Autrice: Ana Andros – COOLtour

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