La tratta sessuale esiste. Anche a Bolzano. Non catene di ferro, ma vincoli invisibili: ricatti, minacce, debiti impossibili da estinguere. Tutto questo è parte di un meccanismo preciso: lo sfruttamento. A intercettare e contrastare questo meccanismo da oltre vent’anni c’è Alba, progetto che ogni anno entra in contatto con centinaia di persone e accompagna decine di donne in percorsi di protezione.
Si tratta di numeri che raccontano la portata di un fenomeno che non si consuma lontano, ma tra le strade della città e dietro le porte di appartamenti anonimi. Non è un salvataggio spettacolare, ma un lavoro lento, fatto di fiducia.
Due sono le ramificazioni principali del lavoro di Alba: outreach (sensibilizzazione) e contatto con i servizi. Le équipe portano cibo, contraccettivi, informazioni, organizzano test rapidi per le malattie sessualmente trasmissibili. Soprattutto, offrono tempo. Perché la fiducia non si improvvisa, si costruisce. E quando una donna trova il coraggio di fidarsi, spesso diventa passaparola: altre seguono, altre bussano. È così che nasce un ponte: tra chi è intrappolata nella tratta e la possibilità di uscirne, tra la persona e i servizi.
La maggior parte delle sex workers intercettate arriva dalla Costa d’Avorio, dall’Albania, dal Sud America, dalla Romania e da altri Paesi dell’Est Europa. Per superare barriere linguistiche e culturali sono fondamentali le mediatrici culturali, che aprono canali di comunicazione altrimenti impossibili.
Il secondo asse riguarda i servizi: far conoscere il fenomeno, creare rete, sensibilizzare e formare chi, nel proprio lavoro quotidiano, può incontrare vittime di tratta. Riconoscere i segni dello sfruttamento è già un atto di protezione.
Le operatrici lo ripetono con chiarezza: “Non stiamo salvando nessuno, non sono ‘poverine’”. E sottolineano un nodo rimasto aperto: i clienti. Sono loro a conoscere indirizzi, orari, dinamiche. Sono loro i primi che potrebbero segnalare situazioni sospette. “Non vi giudichiamo” dicono, come rivolgendosi direttamente a loro. “Se avete il sospetto che una ragazza sia vittima di tratta, parlate con i servizi”.
Alba non promette miracoli. Ma il vero risultato non si misura nei numeri. Sta in quel tempo lungo, fragile e ostinato, in cui una donna accetta un tè caldo e decide di raccontare la propria storia. Sta nella possibilità che un cliente, per una volta, smetta di girarsi dall’altra parte. Sta nel ricordare che la schiavitù non è finita: continua finché facciamo finta di non vederla.
Autrice Giulia Artemisia Buonerba COOLtour