Fu pieno di imprevisti il recupero di Ötzi, appena rinvenuto per caso sulle nevi al confine tra Italia e Austria. Ripercorriamo quei momenti insieme al giornalista Ezio Danieli che fu tra i primi a dare la notizia del ritrovamento.
Il 19 settembre 1991, a oltre 3.200 metri di quota, tra l’Alto Adige e il Tirolo austriaco, i coniugi tedeschi Erika e Helmut Simon durante un’escursione notarono una sagoma scura che affiorava dal ghiaccio. Avvicinandosi, capirono che era un corpo umano. Pensarono subito a un alpinista disperso, rimasto intrappolato sul ghiacciaio, e diedero l’allarme al rifugio Similaun.
Le prime supposizioni furono varie: per alcuni si trattava di un escursionista scomparso, per altri di un soldato caduto in guerra. In quei giorni si trovava in zona Reinhold Messner, impegnato con l’amico alpinista Hans Kammerlander in un giro del Sudtirolo. Dopo aver osservato alcuni oggetti, Messner ipotizzò che quell’uomo potesse avere circa 500 anni. Nessuno immaginava che il corpo fosse invece rimasto custodito dal ghiaccio per oltre cinque millenni.
Il 23 settembre iniziò il recupero. Poiché si pensava di trovarsi davanti al corpo di un disperso recente, non furono coinvolti archeologi: i soccorritori usarono strumenti pesanti — picconi, trapani e persino martelli pneumatici — per liberarlo dal ghiaccio. La mummia fu quindi consegnata alle autorità austriache e trasferita a Innsbruck, dove venne affidata alla medicina legale e trattata come il corpo di un alpinista morto in tempi relativamente vicini.
Il giorno dopo, il 24 settembre, entrò in scena la prospettiva archeologica. L’esperto Konrad Spindler osservò con attenzione il corpo e i suoi oggetti: un’ascia in rame, un coltello in selce, un arco e frecce incompiute, indumenti in pelle e fibre vegetali. La sua conclusione fu sconvolgente: quell’uomo apparteneva a un’epoca antichissima, almeno 4.000 anni fa. Le successive analisi al radiocarbonio, effettuate a Oxford e Zurigo, stabilirono che Ötzi visse tra il 3350 e il 3100 a.C.
La scoperta aprì anche una questione politica. Una rimisurazione precisa del confine chiarì che il luogo del ritrovamento si trovava 92,56 metri entro il territorio italiano, in Provincia di Bolzano – Alto Adige. La mummia, dunque, era stata rinvenuta su suolo formalmente italiano, anche se i primi studi erano stati condotti in Austria. Nel 1998, Ötzi fu quindi trasferito definitivamente al Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano, dove oggi è custodito in una cella frigorifera visitata da migliaia di persone.
La straordinaria conservazione del corpo si deve a circostanze fortunate: Ötzi morì in una conca rocciosa, riparata dal movimento del ghiacciaio, e fu subito ricoperto da neve e ghiaccio. Il corpo si è conservato grazie al freddo e all’ambiente umido e povero di ossigeno del ghiacciaio, che hanno impedito i normali processi di decomposizione. Grazie a questo processo, Ötzi è considerato la più antica mummia umida (Feuchtmumie) del mondo. A differenza delle mummie egizie, essiccate artificialmente con tecniche di imbalsamazione, il corpo dell’uomo venuto dal ghiaccio si è conservato in modo naturale, mantenendo tessuti molli, organi interni e perfino i contenuti dello stomaco: un unicum assoluto nello studio della Preistoria. Solo un disgelo anomalo, accentuato da polveri sahariane, riportò la mummia alla luce nel 1991.
Da allora Ötzi è oggetto di studio da parte di team internazionali. Negli anni Duemila un’indagine decisiva ha svelato la causa della morte: una punta di freccia conficcata nella spalla sinistra aveva reciso un’arteria, provocando un’emorragia fatale.
L’“uomo venuto dal ghiaccio” non morì per caso in montagna: fu ucciso, vittima di un episodio violento avvenuto oltre cinquemila anni fa.
“Quel giorno capimmo che non era un alpinista disperso”
Quando si parla del ritrovamento di Ötzi, spesso si ricordano le analisi scientifiche. Ma nei giorni dell’autunno 1991 furono i giornalisti a dare voce alla scoperta. Per questo abbiamo intervistato Ezio Danieli, che da caposervizio a Merano del quotidiano Alto Adige seguì in diretta i primi sviluppi.
Danieli, come venne a conoscenza del ritrovamento?
Era il 18 settembre. Stavo seguendo per il giornale il giro del Sudtirolo di Reinhold Messner e Hans Kammerlander. Di solito la sera chiamavano loro, quella volta invece mi telefonò Paul Hanny, un collaboratore di Messner: mi disse che era stato trovato uno scheletro nel ghiaccio. Ebbi la prontezza di chiedergli di tornare su e fare subito delle foto. Quelle immagini permisero di aprire il racconto.
Messner e Kammerlander erano già delle star.
Sì, e il loro giro era seguito quotidianamente. Davanti al corpo esclusero quasi subito che fosse un disperso recente. Messner ipotizzò un’età di circa 500 anni. Controllando gli archivi, non risultava al tempo nessuno di scomparso o disperso.
E le autorità italiane?
In quei giorni molti erano impegnati al compleanno del Landeshauptmann Luis Durnwalder, a Fiè allo Sciliar. Non si trovava un carabiniere e Messner si arrabbiò molto. Intanto gli austriaci si mossero per primi, fecero i sopralluoghi e cominciarono a parlare di un reperto molto più antico.
Subito dopo emerse la questione del confine.
Un finanziere italiano mi disse che il ritrovamento era almeno cinquanta metri in territorio italiano. Dopo i primi controlli in Austria, fu riconosciuto ufficialmente come reperto altoatesino e italiano, e da lì tornò a Bolzano.
Come avvenne il recupero?
Il corpo era imprigionato in un blocco di ghiaccio duro come cemento. Gli austriaci usarono un compressore e strumenti pesanti, non certo metodi ortodossi (infatti la mummia è lesionata al bacino e a un braccio ndr). Ma allora si pensava ancora a un alpinista disperso.
E invece era molto più antico…
Gli esami stabilirono che quell’uomo non aveva poche centinaia di anni, ma oltre 5000. Una scoperta destinata a cambiare la storia.
Autore: Till Antonio Mola