Sam Harvey, in porta con i Foxes

Attualità | 1/5/2025

Sam Harvey, classe 1998, milita come portiere nei Foxes bolzanini. Arrivato a Bolzano dopo aver giocato in Canada, Stati Uniti e Finlandia racconta la sua vita da giocatore professionista, da papà e del suo rapporto con i tifosi e la città di Bolzano.

Qual è l’aspetto più difficile del ruolo di portiere?
Probabilmente l’aspetto mentale del gioco. Si può lavorare moltissimo sulla tecnica, sull’aspetto fisico, ma provare a controllare il proprio cervello è davvero difficile. Ad esempio quando ti segnano un goal è una sfida: tutto gira intorno a come ti riprendi e a come affronti ciò che viene. Con l’esperienza si impara a gestire tutto questo, si impara che ci sono giorni buoni e giorni brutti. La cosa positiva è che si può allenare anche la parte mentale, io ho un mental coach e persone che mi aiutano in questo. Ovviamente bisogna essere degli ottimi atleti, allenarsi, sapersi muovere sul ghiaccio ed essere in grado di comprendere il gioco. Queste sono tutte sfide in cui penso di star facendo bene.

Come fai a mantenere la concentrazione durante le partite?
Cerco sempre di pensare al prossimo tiro in arrivo, sia che sia un goal ricevuto che una bella parata; ciò che è nel passato rimane lì e cerco di concentrarmi sul presente. È molto importante ed è ciò che faccio per la maggior parte del tempo. Brutti goal e belle parate accadranno: lo scopo del gioco è segnare, quindi qualcuno senz’altro mi segnerà, ma ho imparato a concentrarmi e a guardare sempre avanti. I portieri di successo sono proprio bravi a fare questo.


Alla fine di ogni tempo di gioco ti fermi sulla pista. Che cosa fai?
Per me è quasi come un reset mentale. Visualizzo me stesso parare e muovermi nella mia zona. Mi visualizzo nella mia porta e in quella in cui giocherò nel tempo successivo. Visualizzo e mi preparo mentalmente per ciò che segue. Ho iniziato a farlo quest’anno e mi sta aiutando molto.

Com’è il rapporto con i tifosi?
I tifosi qui sono molto diversi da quelli che ho incontrato in Nord America. Lì non ci sono questa prossimità e un tifo così appassionato. Già solo il fatto che dopo una vittoria ci fermiamo a festeggiare con i tifosi fa sentire la vicinanza e la passione delle persone che vengono alle partite. I tifosi di qui sono conosciuti per essere dei grandi fan che amano vedere la squadra vincere. Mi piace moltissimo. Cantano e fanno il tifo con grande passione e questo ci dà emozione ed energia durante la partita, aggiungendo un aspetto al gioco che manca in Canada e negli Stati Uniti. In Finlandia i tifosi sono appassionati, ma in termini di emozione e passione Bolzano è il miglior posto dove io abbia giocato. Qui il tifo è quasi personale, lo si prende a cuore.

Cosa ti fa sentire a casa nei vari luoghi in cui ti ritrovi a giocare?
L’aspetto più importante probabilmente riguarda i giocatori con cui praticamente inizi a vivere: se hai amici nella squadra o giocatori che giocano da tempo insieme, come qui nel Bolzano, tutto è più facile. Ci si sente più a casa. È bello avere il proprio appartamento e conoscere le persone che vivono vicino a te, ma il rapporto con i compagni di squadra gioca il ruolo più importante: i ragazzi diventano la tua famiglia.

Come gestisci i rapporti a distanza?
Il telefono è il mio migliore amico. Non è sempre facile sapere che tu sei qui e la tua famiglia è a casa. Cerco di essere presente il più possibile senza essere fisicamente con loro, questa è una delle parti più difficili del giocare in Europa. Allo stesso tempo però mi sento fortunato ad avere la mia famiglia, mia moglie e mia figlia, qui con me. È fantastico. Dopo le quattro o cinque ore che passo alla pista torno a casa e ho molto tempo da dedicare a loro. È bellissimo poter passare il tempo con la mia bambina e vederla crescere. Prima di diventare papà ero concentrato il 100% del tempo sull’hockey, avere questa pausa per concentrarmi su di lei e divertirmi con lei mi sta facendo davvero bene. È un’esperienza bellissima e non mi sarei aspettato che mi avrebbe cambiato la vita così tanto, sono davvero fortunato. Lei sta benissimo e mi fa sorridere ogni giorno, è tutto magnifico.

È difficile bilanciare la vita personale e quella lavorativa?
Io amo l’hockey quindi ne parlo sempre e a casa; la mia famiglia sa che ne parlerò e che, ad esempio, dopo una partita persa avrò bisogno dei miei spazi. È una sfida, ma sto migliorando. So che quando torno a casa sono con la mia famiglia e che mi dedicherò a loro, anche se a volte è ancora difficile separare le due cose. Potremmo dire che è un “lavori in corso”.

Com’è stato abituarsi a Bolzano e alle sue lingue?
Il mio tedesco è terribile! Riesco a capire qualcosa di italiano perchè il francese è la mia prima lingua, ma fortunatamente qui quasi tutti parlano inglese. È stato abbastanza facile. Le persone sono gentili, amano la squadra, sono gentili con i giocatori; la qualità della vita è altissima. Questo è probabilmente uno dei migliori luoghi al mondo dove vivere, abbiamo tutto, le montagne, il clima perfetto. Non è stata una sfida abituarmi, è stata un’esperienza fantastica fin dal primo giorno.

Autrice: Anna Michelazzi

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