Dal Lago Veneri… raccontando storie

Attualità | 3/4/2025

Nei giorni scorsi Brunamaria Dal Lago Veneri ha compiuto novant’anni. Ne abbiamo approfittato per incontrarla e farci raccontare il suo interessante percorso di vita, tra scrittura letteraria, antropologia, etnologia, poesia e traduzioni. Con una passione fortissima per le tradizioni popolari, le fiabe e leggende della nostra terra; ma non solo. 

Brunamaria Dal Lago Veneri ha vissuto, e probabilmente tuttora vive, molte vite. Nata e cresciuta a Bolzano, da settant’anni è antropologa, etnologa, scrittrice, traduttrice, poetessa, instancabile e appassionata studiosa. Raccoglie tradizioni popolari, fiabe, leggende. 

A volte le traduce, a volte le rielabora per inventarne di nuove, per non far spezzare quel filo di magia che da secoli lega le nostre terre, i nostri confini, le nostre storie.

Un mercoledì sera, osservate da migliaia di libri davanti a un caffè fumante e con le rocce altoatesine a spiarci curiose fuori dalla finestra, mi ha concesso l’onore di intervistarla e di scoprire alcuni frammenti di queste molte vite.

L’INTERVISTA

Partiamo dall’inizio. Come si è avvicinata al mondo della letteratura e della tradizione popolare?

Ho studiato alla Bocconi, che all’epoca aveva anche l’indirizzo di lingue. Pensa che all’inizio volevo studiare medicina, ma mio padre non voleva… Iniziai a cercare lavoretti sin da subito per mantenermi e trovai un piccolo impiego alla casa editrice Einaudi grazie a un’amica. Un giorno ebbi una fortuna molto grande, c’era un signore severo che stava lavorando, mi guardò e mi disse “Ah è lei la sudtirolese? Mi hanno detto che si interessa di tradizioni popolari. Interessanti anche le storie del suo paese. Ma lei ha intenzione di tradurre questi racconti che sta raccogliendo?”. Io gli risposi “Certo che li tradurrò, perché lei quando raccoglie i racconti siciliani non li traduce?”. Era il 1958 – 127 anni fa – e quel signore era Italo Calvino! Poi Calvino andò a Parigi e io non l’ho mai più visto, ma qualche cartolina me l’ha mandata, e le ho ancora da qualche parte.

Lei a quel tempo stava già lavorando sulle tradizioni popolari?

Sì, assolutamente. Avevo una nonna della Val di Fiemme, che però si considerava quasi ladina. Lei mi raccontava le storie in ladino e mia mamma che era austriaca (anche se figlia di trentini) me le raccontava in tedesco. La mamma di mio nonno era invece ungherese. Sono quindi cresciuta tra tante lingue e altrettante storie. Ho avuto sempre un enorme interesse per il racconto popolare, e ce l’ho ancora. Ho lavorato moltissimo su questo, sia studiando all’università, sia scrivendo e traducendo. Adesso invece, facendo un salto di settant’anni o quasi, sto scrivendo un libro che mi sembra molto interessante, sui colori delle leggende. Secondo me, ogni storia ha un suo colore. Le storie ladine, ad esempio, partono dal bianco delle Dolomiti e arrivano al rosa dell’enrosadira, hanno il colore della fantasia e del magico. Le storie trentine sono verdi, raccontano la vita rurale. Le storie tedesche, che sono intrise di quest’epica lontana, sono blu. Mi è sempre interessato quest’aspetto, perché veramente la lingua con cui ci si espone, ci si rappresenta, ci si presenta, ha una propria fisionomia, un colore. 

Quando ha iniziato a pubblicare?

Ho pubblicato il mio primo libro, Storie di magia, nel 1979, con una casa editrice che pubblicava racconti e opere musicali. Ebbe un bel successo! Dopodiché, fra le mille storie e vite di cui parlavamo, un giorno conobbi grazie a mio marito Silver Hesse, il pronipote di Hermann Hesse [N.d.r. premio Nobel per la letteratura nel 1946]. Avrei un bell’aneddoto da raccontarti su un vecchio cappotto di Hermann Hesse che Silver mi chiese di riparare… un giorno comunque andammo tutti insieme in Svizzera a trovare Hermann Hesse: ricordo che mi guardava con sguardo severo e aveva un iris blu davanti agli occhi. Dopo qualche chiacchiera mi chiese di tradurre le sue poesie. Che onore inimmaginabile! Gli dissi che ne avrei tradotta una e gliel’avrei mandata… È finita così: ho tradotto le poesie di Hesse e il libro è stato pubblicato.

Come lavorava alla scrittura? I racconti popolari implicano anche moltissima ricerca… come affrontava il lavoro?

Ecco, noi abbiamo da sempre una casa in Val di Fassa, e qui avevo tantissime amiche e amici, contadini del posto che mi raccontavano queste storie; nei miei libri li cito sempre. Ho imparato davvero molto da loro. Gli altri racconti li sapevo perché tramandati da mia nonna… e poi ho sempre letto molto di queste cose. Cercavo il filo conduttore che legava i racconti, forse alcuni me li inventavo anche… ogni scrittore si inventa, è la verità, non bisogna dire bugie. Si inventa nel senso che in-viene, cerca e ritrova nella Storia la sua storia.  

Lei crede nella verità in letteratura?

Quando la letteratura parla di realtà, la inventa. Perché, a meno che tu non prenda un libro autobiografico, generalmente è proprio un’invenzione. Si tratta sempre di una realtà inventata, in qualche modo. Come in fondo, secondo me, anche la realtà nostra è inventata. In qualsiasi forma tu lo voglia dire, c’è una grande parte di rielaborazione mentale. C’è un bellissimo libro di Claudio Risé, “La scoperta di sé. I sentieri dell’individuazione”, che parla della maschera che ognuno di noi indossa e che alla fine rischia di diventare il proprio io. 

Si sente più scrittrice, più traduttrice o più studiosa?

Non lo so. Scrivo anche poesie ogni tanto. Ho tradotto molto però, ad esempio le Fiabe dei fratelli Grimm, che sono ancora in circolazione nella mia traduzione, e che proprio la Mondadori mi spinse a tradurre… ed è stato un gran lavoro. Poi ho tradotto le poesie di Hesse, Thomas Mann, H. C. Artmann e altri ancora. Ora come ora ho un desiderio: mi piacerebbe tanto che i due veri poemi epici della terra ladina, Il Regno dei Fanes (il più antico) e il Re Laurino (il più recente) fossero più conosciuti. Il Fanes rappresenta la fine del matriarcato, che in questa terra, la terra delle montagne, è sempre stato molto importante: gli uomini emigravano per lavorare, le donne portavano avanti il maso, tenevano le redini di tutto (perché gli uomini non c’erano, mica perché lo volessero!). Questa vena matriarcale c’è sempre. Nella letteratura fantastica ladina continuano a rimanere grandi pezzi dei grandi personaggi immaginari. Le creature dell’acqua, del bosco, tutte queste figure che sono ancora molto vive nell’immaginario. L’acqua è la vita, e queste creature che vivono nei laghi, nei torrenti, sono portatrici di bene e anche di sciagure a seconda della situazione. Pensa che nella tradizione ladina sono donne bellissime, con lunghe vesti, con i capelli verdi, mentre nella letteratura nordica sono vestite di scuro, come la terra. 

Secondo lei la tradizione popolare è particolarmente marcata qui nel nostro territorio o è un po’ così in tutta Italia?

È marcata nel nostro territorio, forse perché c’è la necessità di stare dentro, all’ombra di queste rocce ed essere frutti delle rocce, e parlare come le rocce e raccontare delle rocce. 

Concludiamo con una poesia, che è forse l’unico mezzo capace di promettere a tutti un arrivederci.

IL MITO RINCHIUSO

Cavalli di nuvole
rincorrono il sole.
Tra i silenzi del cielo,
nell’azzurro arruffato.
Voglio gridare al mondo
le parole che il mito
tiene rinchiuse
nel cuore di tutti.

Autrice: Lidia Tecchiati

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