Beate Weyland è professoressa associata di Didattica presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano. Da anni si occupa dell’interazione tra pedagogia, architettura e design per innovare la didattica e creare ambienti di apprendimento più accoglienti e sostenibili. Questa ricerca l’ha portata a sviluppare il concetto di Eden, un laboratorio interdisciplinare che esplora il ruolo delle piante nella progettazione degli spazi educativi.
Professoressa, Lei ha iniziato la sua carriera come designer degli spazi di insegnamento e ha successivamente scoperto il potenziale del verde. Può raccontarci come è nata questa evoluzione?
Il mio lavoro consiste nell’accompagnare le comunità scolastiche – dai nidi alle scuole dell’infanzia, dalla scuola primaria alla secondaria, fino all’università – in un processo di ripensamento degli spazi educativi. L’obiettivo è trasformarli in luoghi accoglienti, che promuovano benessere, resilienza e gioia. Durante questo percorso, ho scoperto un mediatore straordinario: le piante. La loro presenza negli spazi interni, ma anche in quelli esterni come cortili, giardini e boschi, ha un impatto profondo sull’ambiente educativo. Questo approccio si è concretizzato nella creazione di un laboratorio interdisciplinare, dove esploro il rapporto tra pedagogia, architettura e design. L’obiettivo è sviluppare paesaggi educativi di nuova generazione, luoghi in cui si riflette su come costruire un nuovo rapporto con la natura, integrando le esigenze della didattica con quelle della progettazione degli spazi.
Può spiegarci meglio cosa succede in questo processo?
Si tratta di creare una sinergia più forte tra lo spazio interno e quello esterno, e soprattutto di farci sentire parte integrante della natura, in grado di portarla dentro i nostri ambienti e di incontrare il mondo naturale in modo significativo. Tutto parte da un gesto apparentemente semplice: portare una pianta in vaso in classe. Questo piccolo atto, in realtà, è rivoluzionario. Se, ad esempio, invitiamo i bambini a portare ciascuno la propria pianta a scuola, iniziamo a porci e a porre loro delle domande: “Perché hai scelto proprio questa pianta? Dove la posizioneremo? Come ce ne prenderemo cura?”. Da queste domande emergono questioni legate allo spazio e alla sua interazione con chi lo vive. In un certo senso, ci trasformiamo in “interior designer” della scuola: ci accorgiamo che i banchi tradizionali forse non sono ideali per un lavoro cooperativo ed esplorativo, che mancano librerie o supporti adatti per le piante, e così via. Queste riflessioni ci portano a immaginare nuove soluzioni per rendere questi luoghi veramente piacevoli e belli.
Stiamo entrando in una nuova era. In passato, agli insegnanti è sempre stato detto che la scuola era un luogo in cui svolgere attività specifiche, quasi come operai in una “fabbrica dell’istruzione”: entri, fai il tuo lavoro e te ne vai. Oggi, invece, l’idea è diversa: gli insegnanti e gli educatori sono coloro che accolgono gli allievi nei luoghi della cultura e della conoscenza, creando un ambiente il più possibile accogliente e significativo. Questo avviene anche portando dentro la scuola elementi personali, come le piante, che diventano strumenti di appropriazione dello spazio. Questo gesto, apparentemente innocuo, è in realtà potente: è un atto di liberazione e di vitalità per una scuola che oggi fatica a connettersi con il mondo. Le piante possono essere il primo elemento a innescare questo cambiamento, favorendo un approccio più autentico e coinvolgente per tutti.
C’è un messaggio finale che vorrebbe lasciare ai nostri lettori, magari anche a chi è curioso di avvicinarsi a questo progetto ma non sa da dove iniziare?
Certo, il messaggio che vorrei lasciare è che le piante non sono solo un elemento decorativo, ma un vero e proprio strumento di cambiamento. Questo approccio non solo rende gli spazi più belli e accoglienti, ma trasforma la didattica in un’esperienza viva, esplorativa e coinvolgente. Per i bambini, le piante diventano un compagno di gioco e di scoperta. Attraverso il gioco, i bambini imparano a conoscere il mondo, e le piante possono essere un mediatore straordinario per farli entrare in contatto con la natura. Giocare a dare un nome alla pianta, a descriverla con un aggettivo, a osservarne le caratteristiche, sono tutte pratiche che costruiscono un rapporto emotivo e affettivo. E questo non vale solo per i bambini: anche gli insegnanti, i genitori e chiunque si avvicini a questo progetto può riscoprire il piacere di guardare il mondo con occhi curiosi. Questo approccio sta già ispirando realtà educative in tutta Italia: abbiamo avviato collaborazioni con scuole e istituzioni in diverse regioni e stiamo lavorando a una piattaforma online per raccogliere esperienze e creare una rete di scambio. Inoltre, stiamo progettando un master dedicato a questi temi, che finalmente sta prendendo forma.
Il mio invito è a provare, senza paura di sbagliare. Non serve essere esperti di botanica o di design: basta iniziare con un gesto semplice e lasciarsi guidare dalla curiosità. Se volete approfondire, nel libro “Eden. Educare (ne)gli spazi con le piante” trovate molte riflessioni e spunti pratici. Inoltre, il nostro laboratorio, l’Eden Lab, è sempre aperto a nuove collaborazioni.
Siamo a Bressanone, nella Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, e chiunque sia interessato può visitare il sito https://edenlab.unibz.it/ o scrivermi (beate.weyland@unibz.it).
Autore: Till Antonio Mola