Con Elda Dalla Bona oggi parliamo dei GAS (Gruppi di acquisto solidali). Si tratta di un insieme di persone che si organizzano per acquistare prodotti direttamente dai produttori, privilegiando eticità, sostenibilità e filiera corta… senza mai dimenticarsi della “s” di solidarietà.
“Ti offro un tè o un caffè?” È così che comincia, quasi sempre, una conversazione con Elda Dalla Bona. Non te lo dirà, ma lei ha una missione precisa: rendere il mondo un posto più bello. Non a parole – che volano, si sa – ma con i fatti, che invece restano. Più di vent’anni fa ha fondato il primo Gruppo di Acquisto Solidale (GAS) in Alto Adige, quando ancora pochi sapevano cosa fosse. Oggi è presidente di “Ginko per il Bene Comune”, ma il suo curriculum vitae non si ferma di certo qui.
L’INTERVISTA
Quando si dice GAS, non tutti pensano immediatamente ai Gruppo d’Acquisto Solidale… ci spieghi cosa sono?
Molto brevemente, un GAS (Gruppo di Acquisto Solidale) è un insieme di persone che si organizzano per acquistare prodotti direttamente dai produttori, privilegiando eticità, sostenibilità e filiera corta… senza mai dimenticarsi della “s” di solidarietà. In Alto Adige i GAS nascono più di vent’anni fa, tra l’altro, proprio a Merano con il GASlein. Poi si sono sviluppati velocemente in provincia.
E Ginko? Perché è legata al mondo dei GAS?
“Ginko per il Bene Comune” nasce come cooperativa di comunità nel 2022, però già qualche anno prima alcune persone si erano messe assieme per delineare un progetto comune. Avevamo in mente di sviluppare l’idea del GAS in qualcosa di parzialmente diverso, cioè, accessibile a più persone. Perché accedere a un GAS è un impegno non da poco e… non è per tutti (persone anziane, persone sole ecc.). Un progetto non privo di insidie, perché è difficile da trasmettere come idea: giusto prezzo al produttore, senza mediazione, giusto prezzo al “usufruitore”.
I primi passi?
Con l’aiuto di alcune persone ispirate, abbiamo individuato un locale presso il Rione Maria Assunta di Merano e abbiamo scoperto che è di proprietà dell’IPES. Ci siamo messi in contatto e… una lungaggine dietro l’altra. Per fortuna abbiamo trovato anche chi si prendesse a cuore la nostra causa.
E poi, parlando in giro del nostro progetto, altre persone si sono aggiunte. È stato un periodo di confronti, abbiamo individuato lo scopo primario, cioè animare il territorio e creare luoghi di comunità, e abbiamo scelto il nome.
Ecco, il nome: perché “Ginko”?
Il ginko è un albero antichissimo, risale a oltre 250 milioni di anni fa. Ha radici profonde ben ancorate al terreno, come la solidarietà, la giustizia sociale che guidano la nostra cooperativa; le sue foglie sono leggere, delicate, come la flessibilità e l’apertura al cambiamento; e poi è una parola “plurilingue”, adatta al nostro contesto.
Le persone socie della prima ora? Quanti eravate?
Dodici. Quasi tutte donne. Di fatto una start-up femminile. E praticamente tutte maestre (o maestri). Non penso sia un caso. Infatti la funzione educativa è alla base del nostro agire e anche del nostro pensare. Un negozio di questo tipo dà la possibilità di capire il perché io debba acquistare una cosa al posto di un’altra. Tenendo conto dell’ambiente, del rione, costituito da persone anziane, extracomunitari, famiglie ecc. Attualmente le persone socie sono 124, ma aumenteranno! Sarà prevista una piccola zona di incontro, tipo bar, dove si potrà leggere il giornale, incontrarsi, chiacchierare. Sarà uno spazio per offrire occasioni di apprendimento: come si produce il cibo, come fare le pulizie in maniera “ecologica” ecc. Ci immaginiamo momenti di formazione come: “Sai cosa metti nel cestino?” Qualcosa di simile è già stato offerto nel 2024: cinque eventi nella sala del comitato di quartiere. A gennaio è cominciata speditamente la ristrutturazione. Questo ci induce ai prossimi passi, acquisto di mobili, frigoriferi, organizzazione degli spazi. Il lavoro è veramente notevole, ma grazie alle competenze messe a disposizione da amici e amici degli amici (architetti, ingegneri ecc.) sta uscendo veramente qualcosa di bello.
Come vi finanziate?
Le persone socie pagano una quota sociale di 25 euro, abbiamo vinto bandi, organizzato crowdfunding. Ma abbiamo sempre bisogno di fondi perché organizzare un negozio costa molto. Nella nostra scelta del partner bancario abbiamo scelto Banca Etica, di cui sono una fedelissima cliente e socia, perché riteniamo che l’utilizzo giusto del denaro sia parte integrante di questo progetto.
Anno della speranza, cosa sperate per il vostro progetto?
Abbiamo l’ambizione di essere qualcosa di significativo per la nostra città (e non solo), perché vogliamo incidere sulle abitudini delle persone, che sono mosse più dalla pubblicità che dal buon senso. È sotto gli occhi di tutti. Compriamo cose che non ci servono, convinti che ci servano, e che ci fanno addirittura male. Questo progetto ha la concretezza di fornire le cose giuste, ma anche idee, pensieri, cambiamenti, conversione di intenti, nell’acquisto, nel relazionarci con l’ambiente e con le altre persone. È un luogo (e non un non-luogo come il supermercato!) di incontro e di scambi di parole. Crediamo che fornire semplicemente delle merci non sia fondamento del nostro cambiamento.
A proposito di cambiamento: un consiglio per chi vuole cambiare?
“Cambiare” significa in primo luogo prendere coscienza della situazione di oggi, però con attitudine positiva. Ci troviamo in una situazione ambientale, sociale e politica veramente gravissima. Rendersene conto è importante. Il secondo passaggio è “e allora cosa faccio?”, non pensare di cambiare radicalmente, radicalizzarci ci brucia.
In Alto Adige buttiamo via 27,5 kg di cibo all’anno… a persona! Se ci rendiamo conto che nel frigorifero c’è troppa roba e che ci tocca gettarne via una parte, compriamone di meno! Ho bisogno davvero di tutti questi vestiti? Quintali di cose mai usate. Ed esempi analoghi potrei farne anche per altri settori.
Quindi: guardarsi intorno e vedere cosa c’è che mi assomiglia, associarmi, confrontarmi con persone che hanno l’esperienza. Ci vuole la volontà di cambiare con calma, senza farsi prendere dalle nevrosi, per esempio, delle diete. Se evitassimo i cibi troppo processati e altre abitudini, sarebbe già tanto.
Poi si diventa contenti di vivere in modo più semplice. Infine: informarsi, formarsi, approfondire, perché non è mai finito il tempo dell’apprendimento. Ma soprattutto: essere grati per quello che si ha.
“Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio…” dice Franco Arminio, perché, in fondo, il mondo non si cambia chiacchierando. Si cambia facendo. Come fa Elda.
Autore: Marco Valente