“La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità…” eccetera. Questa frase la si trova in rete e viene furbescamente attribuita a Socrate, ma poco importa in realtà che l’abbia detta lui o meno, si tratta infatti di un pensiero diffuso trasversalmente in tutte le epoche, cioè: i giovani sono problematici. Ma, in fondo, è davvero una questione generazionale? O forse è semplicemente il trito e ritrito conflitto tra il vecchio e il nuovo?
Ecco, se dovessi scrivere un articolo sull’intelligenza emotiva comincerei proprio così: citazione farlocca presa dal web e predicozzo sui conflitti intergenerazionali. Ma sotto-sotto io non so cosa sia l’intelligenza emotiva, posso intuirne i contenuti, ma rimango pur sempre un profano. E a quanto pare va bene così!
Va bene così, perché per capire che i “giovani” (categoria rigorosamente monolitica!) non si conformano, ma si ribellano e sperimentano, non ci vuole un esperto in psicologia.
Spesso li giudichiamo con leggerezza, senza considerare che – oggi più che mai – vivono in un mondo fatto di ignoto e di futuro incerto. E questo scenario rende l’intelligenza emotiva più rilevante che mai, perché non è solo una competenza individuale, ma anche un antidoto per affrontare le sfide che ci circondano.
Per convincervi che non serve essere esperti per prendere dimestichezza con l’intelligenza emotiva, mi faccio aiutare da… un’esperta: Francesca Alemanno, psicologa e psicoterapeuta.
“La vera sfida educativa è prendere per mano i giovani e accompagnarli in quello che decideranno essere il loro futuro. Ciò non significa preservarli da ogni rischio, come si fa con dei vasi di porcellana, ma accompagnarli e sostenerli ad affrontare il mondo in autonomia.”
Però il mondo è pieno di rischi, è un po’ come una “foresta”.
“Certo, di per sé la foresta nasconde in sé molti pericoli, però è anche un luogo ricco di opportunità (e di biodiversità). Maldestramente potremmo avere la tentazione di vietarne l’ingresso ai “giovani”… ma di poche cose si può essere certi a questo mondo, e una di queste è che, proibita o no, in quella foresta ci andranno, tanto vale – quindi – fornire loro gli strumenti per affrontarla.”
Del resto evitare loro ogni difficoltà significa privarli della possibilità di sviluppare resilienza e “antifragilità”.
“Un concetto affascinante coniato da Nassim Taleb, che descrive l’attitudine di un oggetto o di un sistema di migliorarsi in seguito a un trauma. Jonathan Haidt, psicologo americano, lo applica al sistema immunitario psicologico. Imparare a gestire sofferenze, ingiustizie, tensioni ed emozioni negative trasformandole in risorse per crescere, e poi, saper riconoscere le proprie emozioni, gestirle in modo sano e – quindi – comprendere le emozioni altrui, sviluppando empatia, è essere emotivamente intelligenti.”
Eccoci arrivati all’intelligenza emotiva. Quelli bravi ora direbbero che “l’intelligenza scolastica è la più sopravvalutata di tutte le intelligenze”…
Sì, perché non basta saper fare calcoli complessi, scrivere testi, avere una cultura enciclopedica… in pratica essere ChatGPT. Bisogna essere capaci di costruire e gestire relazioni sane e significative.
Ricordandoci che la foresta è foresta, anche per noi. È sorpresa, è novità. E che per crescere giovani antifragili, c’è bisogno di educatori antifragili ed emotivamente intelligenti.”
Quindi, zaino in spalla, ché si va nella foresta.
Autore: Marco Valente