Tra Benin e Togo nel nome della pace

Attualità | 23/1/2025

“Bonne arrivée! Accomodatevi, arrivo subito con dell’acqua così poi possiamo cominciare a parlare…”. Con un sorso d’acqua, ovvero un piccolo gesto di ospitalità. È così che sono cominciati molti degli incontri che alcuni soci dell’associazione Pozzo di Giacobbe Jakobsbrunnen e i giovani scout di Merano – sette persone in tutto – hanno vissuto nel loro recentissimo viaggio tra Benin e Togo.

Siamo partiti con qualche domanda, ma siamo tornati con il doppio degli interrogativi, se non il triplo. In un certo senso, quindi, ci siamo arricchiti – riconosce Sofia Rizzi, la più giovane della delegazione – “Alle persone che abbiamo incontrato abbiamo chiesto ‘cos’è per te la pace concreta?’, proprio perché prima di partire, anche con gli altri ragazzi scout, ci siamo detti che spesso tra pace e guerra c’è una ‘zona grigia’, fatta di paci effimere, di dialoghi mancati e di indifferenza. Quindi quale occasione migliore per approfondire il tema della pace raccogliendo i punti di vista addirittura da un altro continente”.

La pace ha bisogno di incontro, di scambio; ha bisogno di “saltatori di muri”, come direbbe Alex Langer, e di andare oltre se stessi. E “andare oltre” qualche volta significa anche viaggiare.
Il rischio è, però, quello di viaggiare con superficialità, e la sfida, quindi, è viaggiare “con stile”, cioè senza pregiudizi o, comunque, consapevoli di averne, e quindi nella libertà di mettersi continuamente in discussione.

Natitingou

“I primi giorni siamo stati alla casa-famiglia di Christine e Andrè a Natitingou, in Benin. Ciò che mi ha veramente colpito – racconta Matteo Ghione – è stata la loro filosofia di tenere le porte aperte a chiunque, offrendo calore familiare o anche solo un pasto a chi ne ha bisogno”.
Christine e Andrè hanno vissuto per diverso tempo in Italia, però poi hanno deciso di tornare, di spendersi completamente per la propria comunità e in particolar modo per i più vulnerabili. Oltre alla casa-famiglia, gestiscono un eco-centro: per puntare sulla raccolta e il riciclaggio di rifiuti, ma anche sulla formazione e la sensibilizzazione su temi ambientali. Una sfida urgente e quanto mai attuale.

La pace, l’ambiente, sono concetti dal sapore quotidiano per chi ha la promessa scout nel cuore. “Paradossalmente è grazie all’incontro con altri scout, dall’altra parte del mondo, che ci rendiamo conto di quanto sia importante questa proposta: i valori che l’accompagnano e che danno un orizzonte a questi bambini e ragazzi, educandoli alla cura della comunità, degli altri, dei più deboli. – spiega Nicola Balzarini – È qui che ci si misura, che si può fare la differenza: allenandosi all’attenzione verso i più piccoli e coloro che stanno ai margini. Ci siamo ritrovati gli uni accanto agli altri, come se fossimo parte di un’unica famiglia, rinvigoriti da un senso di fraternità, per esempio, durante la marcia della pace del primo dell’anno”.

Djougou

Dopo l’ospitalità di Christine e Andrè e lo scambio di visioni con gli scout, il viaggio è proseguito verso Djougou, sempre in Benin, per incontrare vecchi e nuovi amici, e visitare il pozzo realizzato in memoria di Lia Marzoli.

“Siamo arrivati al calar del sole – ricorda Ester Orso, nipote di Lia – in motocicletta, perché la strada è un sentiero che attraversa la savana. Abbiamo visto come la condivisione di un bene primario come l’acqua possa essere lo strumento ideale per favorire la coesione sociale. Ma è stato anche toccante vedere con i propri occhi come la nostra comunità, riunita intorno alla morte della nonna, abbia potuto realizzare una trasformazione concreta a favore di un’altra comunità in un altro angolo del mondo”.

Aniè

Sono ore e ore di strada, un confine e parecchie peripezie – per utilizzare un eufemismo – ciò che separa Djougou da Aniè, città nel centro del Togo dove è direttore scolastico don Emmanuel, prete e insegnante per vocazione.

Don Emmanuel parla cinque lingue molto bene, sei con il francese, l’italiano, si fa capire in inglese, e sa pure qualche frase in tedesco… In più riesce a comunicare ancora in un paio di altre lingue locali. “È davvero importante che i giovani sappiano le lingue, per riuscire a trasmettere il proprio messaggio. Come puoi farlo se non conosci le lingue? Imparare le lingue è necessario per entrare in sintonia”, bacchetta don Emmanuel, mosso dalla sua indole pedagogica. Si tratta senz’altro di un’affermazione che dà da pensare a un gruppo di sette meranesi-sudtirolesi, che si interrogano sulla pace e sul dialogo.

Pensieri

“Il mio primo pensiero? Atterrata in Africa, la sensazione è stata quella di essere tornati in un posto del mondo che puoi inspiegabilmente considerare ‘casa’. I colori, gli odori e la natura ti catapultano in una nuova e diversa realtà. – confida Ester, al suo secondo viaggio assieme al Pozzo di Giacobbe – Poi mi colpisce quel bisogno di ritornare a una dimensione comunitaria, ricca di solidarietà”, aggiunge.

Sofia è, invece, in difficoltà “perché il primo pensiero che ho avuto è stato: ma come racconto questo? Come faccio a raccontare quello che vedo, quello che sto vivendo? Ho paura di perdermi qualcosa o di semplificare troppo”.

“Forse abbiamo due percezioni del tempo diverse, – ammette Adele Aderenti – si dice che in Europa abbiamo l’orologio, mentre in Africa hanno il tempo. Questo inno alla lentezza è incarnato da molti, e a volte si scontra con la nostra frenesia. Appena si esce dalle metropoli, come Lomé e Cotonou, il tempo è ancora scandito dalla natura: il giorno e la luce, la notte e il buio, le piogge, la semina dell’igname e la raccolta dei manghi. Noi ci siamo scordati del ritmo della natura”.

Viaggiare “con stile” permette sempre di aggiornare la propria visione del mondo, affinché rimanga malleabile, “perché dobbiamo abbandonare quella presunzione di riuscire a capire il mondo in un batter d’occhio, soltanto guardandolo di sfuggita o leggendo un post scritto male”.

Tirando le somme: “belli i tramonti, i maestosi baobab, gli sparvieri che solcano i cieli annebbiati dalla polvere del Sahara, ma poi c’è dell’altro, in un’ottica di scambio, di relazione. Il rischio è di riempirsi gli occhi di un’Africa da romanzo, oppure di atteggiarsi da piccoli Babbi Natale, riducendo il “fare del bene” a un “mi fa sentire meglio”. Il desiderio, invece, è quello di incontrare, di instaurare relazioni autentiche con le persone, con cui realizzare uno scambio vero, allontanando quella tossica convinzione che “noi” abbiamo solo da dare e solo da insegnare”.

Autore: Marco Valente

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