Federico Travagli, studente di infermieristica presso il polo universitario Claudiana, ci racconta com’è la vita di un giovane con il diabete di tipo uno e quali iniziative ci sono per chi, giovane e non, ha questa malattia autoimmune.
Quando hai scoperto di avere il diabete?
Avevo 7 anni, la mia pediatra è stata molto brava: ha subito colto i sintomi, mi ha prescritto i test e fatto ricoverare immediatamente. Per me è stato poco traumatico, ero piccolo, quindi non ho ricordi della vita prima. è stato di certo più traumatico per i miei genitori che hanno dovuto cambiare stile di vita e imparare tutto. Per quanto riguarda somministrazione di farmaci, misurazioni e insulina io ho imparato con gli anni; all’inizio dovevano infatti gestire tutto i miei genitori.
Crescendo la cosa è stata difficile da gestire?
Per me era la normalità. Ho avuto la fortuna di avere un bravo diabetologo: non era rigido, mi ha sempre lasciato la libertà di gestire le cose come più mi sentivo e i miei genitori sono stati molto bravi a delegarmi ogni anno compiti maggiori finché a 12/13 anni sono arrivato a una completa autonomia. Una volta che si impara a gestirsi non c’è nulla che non si possa fare.
I giovani come vivono il diabete?
Per quanto mi riguarda non ho mai vissuto episodi di bullismo o di esclusione a causa del diabete, ma ho amici che invece hanno vissuto un forte bullismo. Se ne parla sempre di più, questa cosa ancora non si conosce bene. Se non si ha un diabetico in famiglia o tra gli amici stretti spesso non si sa nulla; so di partner di persone diabetiche che anche dopo anni di matrimonio non conoscono ancora quasi per nulla la patologia. Spesso si arriva a conoscere il diabetico quando ormai è autonomo e quindi non si impara a conoscere ciò che serve, ma sarebbe importantissimo educare le persone più vicine.
Quali sono gli strumenti per vivere meglio? Sono accessibili?
Alla base ci sono il glucometro e le penne dell’insulina; questa è la terapia base che viene sempre insegnata. Si fa un periodo iniziale con questo kit, ma, nei giovani, si opta per passare a sensori e microinfusori il prima possibile. La Provincia copre i costi di tutte le forniture. Per i microinfusori, che sono degli strumenti che con i sensori misurano automaticamente la glicemia e forniscono direttamente la dose necessaria di insulina, c’è una lista d’attesa che per i giovani è abbastanza rapida in quanto il fattore dell’età è un criterio importante.
Ci sono iniziative dedicate ai giovani?
La Diabetes Union ne organizza moltissime accessibili a tutti. Le principali a cui io ho partecipato sono i Summer Camp che sono dedicati ai bambini dai 9 ai 14 anni e i Camp 14+. In entrambi i camp è presente personale sanitario fisso e l’ultimo giorno dei medici vengono a fare un Q&A per rispondere a dubbi e quesiti anonimi dei partecipanti, i quali hanno poi spazio per discutere e scambiarsi opinioni. È un’occasione per conoscere persone diabetiche che normalmente non hai occasione di incontrare. Le attività sono moltissime, ovvero giochi, passeggiate in montagna, visite a laghi… E i momenti educativi sono davvero utili. Nel camp 14+ si ampliano per affrontare temi di cui magari non si parla col proprio medico o coi genitori come sesso e diabete e alcol e diabete. Io ho partecipato a entrambi e ora sono parte dello staff. Una nuova iniziativa che sta per partire è quella dedicata alle coppie in cui si passa un weekend con altre coppie e la psicologa, e in cui si fanno attività e si hanno dei momenti di discussione. In generale sono dei momenti da passare in compagnia in montagna, in cui si uniscono educazione e attività con animatori e personale sanitario, che aiutano a diventare autonomi, sentendosi capiti e divertendosi.
Autrice: Anna Michelazzi