Sanaa El Abidi, laureata in Scienze Infermieristiche presso il Polo Universitario Claudiana a Bolzano, ha dedicato il suo elaborato di tesi alla rielaborazione della letteratura incentrata studio dello stile comunicativo denominato elderspeak. è una sorta di lingua semplificata che usiamo spesso con gli anziani e assomiglia a quella che utilizziamo con i bambini piccoli. Questo approccio linguistico nei confronti degli anziani spesso non è la soluzione ideale e averne consapevolezza è davvero importante.
Cos’è l’elderspeak?
È uno stile comunicativo utilizzato con gli anziani che nasce da stereotipi della terza età e ha come fine l’espressione di cura, controllo e/o facilitazione della comprensione. Come sinonimo viene spesso utilizzato baby talk in quanto nella maggior parte dei casi risulta indistinguibile da quello diretto ai bambini.
Quali sono le sue caratteristiche?
L’utilizzo di un vocabolario semplice, un tono di voce acuto, un discorso lento, uso di imperativi e domande, ripetizioni, l’uso di diminutivi, termini affettuosi e soprannomi, la sovra-articolazione e l’utilizzo di frasi brevi e semplici. È caratterizzato anche dalla sostituzione del pronome “tu” con “noi”, ad esempio: “è importante che (noi) mangiamo, cara”, che può trasmettere il messaggio di dipendenza dell’anziano. Vengono inoltre utilizzate le tag questions che limitano la scelta dell’interlocutore, suggerendo implicitamente la risposta.
Perché è importante parlarne?
Perché può essere una manifestazione del cosiddetto “ageismo”, ovvero stereotipi, pregiudizi e discriminazioni nei confronti degli altri o di sé sulla base dell’età. Con l’aumento dell’aspettativa di vita diventa sempre più importante avere una comprensione approfondita della comunicazione con gli anziani. L’elderspeak riflette stereotipi che vedono gli anziani come incompetenti e dipendenti. Contrastarli aiuta a evidenziare e rispettare le preferenze individuali degli anziani in modo da comunicare in risposta ai bisogni personali ed ottenere un indebolimento degli stereotipi sociali. Questo tipo di interazioni nel tempo possono portare gli anziani a credere di meritare quel tipo di comunicazione e ad agire in modo concorde allo stereotipo. Una comunicazione rispettosa favorisce le interazioni significative, migliora i legami, il benessere e l’autostima degli anziani.
Quali sono le conseguenze negative di questo fenomeno?
Anche se in alcuni casi il suo utilizzo può avere effetti benefici come un miglioramento oggettivo della comprensione e della memoria, i destinatari riportano ugualmente problemi nella comunicazione, negativa stima di sé e, in alcuni casi, resistenza alle cure. L’elderspeak viene spesso giudicato come irrispettoso e può suscitare sentimenti di angoscia, frustrazione e rabbia e impattare sull’immagine di sé. Affrontare e prevenire questo fenomeno è essenziale per garantire dignità e rispetto agli anziani.
In che contesti si verifica maggiormente?
L’elderspeak è diffuso soprattutto in ambito sanitario e nei contesti in cui gli anziani interagiscono con caregiver o operatori più giovani. La sua frequenza e percezione possono variare a seconda del contesto e delle persone. Non è utilizzato solo dagli operatori sanitari, ma anche al di fuori dei contesti di cura, talvolta da familiari ed amici. In questo caso è più tollerato poiché può essere percepito come più caloroso rispetto a quando proviene da operatori sconosciuti. Nei contesti di assistenza sanitaria, secondo gli studi, può rappresentare tra il 22% e il 58% delle interazioni con gli anziani.
Come si può riconoscere e diventare consapevoli?
È necessaria una combinazione di osservazione critica, formazione e sensibilizzazione. Diversi interventi educativi, attuati in contesti ospedalieri perlopiù americani, hanno dimostrato che, focalizzando l’attenzione dei caregiver sulle pratiche comunicative, è possibile ridurre l’uso dell’elderspeak. In generale, riconoscere il fenomeno e le sue caratteristiche è un primo passo per portare l’attenzione verso i propri modelli di comunicazione e ridurne quindi l’utilizzo. Favorire interazioni regolari tra generazioni diverse, sin dalle elementari, si è dimostrato efficace nel ridurre l’ageismo e promuovere empatia e rispetto verso gli anziani.
Autrice: Anna Michelazzi