Abbiamo incontrato Jadel Andreetto a margine di alcune sue riprese per un documentario sulla storia del rock in Alto Adige, che sta realizzando insieme al regista Armin Ferrari. Un’occasione per raccontare il percorso di questo bolzanino che da anni vive altrove, scrivendo e lavorando in maniera creativa.
“Questo mio ultimo è un lavoro con il quale sto indagando i meandri di Bolzano e del Sud Tirolo nella sua espressione più viscerale, che secondo me è stata la scena musicale punk, hardcore e in parte metal, che, dalla fine degli anni’ 80 fino alla fine degli anni ‘90, ha fornito una linfa vitale ad una città un po’ sonnolenta. Il mio obiettivo è di parlare di questi generi musicali, spiegare cosa rappresentassero e perché fossero così importanti e di rottura per questo territorio. Con questo documentario cerco di fornire uno sguardo onnicomprensivo che cerca di mettere insieme i fili di quella che era la scena musicale con la storia del Sud Tirolo. Credo che la sua particolarità consista nel voler raccontare una scena musicale all’interno del suo contesto, quindi non un documentario musicale fine a sé stesso, ma qualcosa di più complesso.”
Lo capiremo quando sarà terminato. Parliamo di te: sei conosciuto per essere uno scrittore e un creatore di radiodrammi…
Si, perché ho lavorato ad un podcast che in realtà è un radiodramma, potremmo anche definirlo un podcast immersivo. È stato realizzato per Rai Alto-Adige e si chiama “Morte di un giallista bolzanino” e mi ha dato parecchie soddisfazioni, in quanto è stato anche il primo in classifica su RaiPlay, su cui è stato distribuito di lì a breve, per diverse settimane, battendo una concorrenza ben più blasonata.
È stata la prima volta che mi sono cimentato in questo tipo di narrazione e da romanziere, devo dire che non è stato facile, in quanto si tratta di tutto un altro tipo di scrittura e di struttura. È stato un lavoro lungo e complicato. Assieme a me avevo dei sound designer e dei musicisti, persone che si occupavano della narrazione parallela, che in un radiodramma è altrettanto importante, per cui oltre alla voce bisognava creare degli spazi sonori. È stato un podcast avventuroso, anche perché alcune riprese sono state fatte ad hoc, dal vivo, nel senso che siamo andati nei boschi a registrare alcuni suoni.
Il podcast “Morte di un giallista bolzanino” racconta la morte di questo Marco Felder, che è uno pseudonimo che io e il mio collega Guglielmo Pispisa abbiamo usato per firmare il nostro primo romanzo: mentre il secondo lo abbiamo firmato con i nostri nomi. L’intento del podcast era quindi anche quello di spiegare che fine avesse fatto Marco Felder. Il podcast è la storia di un giornalista che si appassiona alla storia delle circostanze che hanno portato alla morte di questo Marco Felder.
Parliamo di te.
A novembre compio 49 anni. A metà anni ’90, dopo aver conseguito il diploma di ragioneria a Bolzano, sono andato a studiare Filosofia a Bologna. In quel periodo ho cominciato a gravitare attorno alla scena dei centri sociali occupati, dove mi sono occupato di musica, di politica e di attivismo.
Successivamente ho cominciato a scrivere dei romanzi con dei collettivi (Luther Blissett, Wu Ming, il collettivo Zen). Ho pubblicato per Mondadori, Rizzoli e curato antologie per Bompiani.
L’ultimo progetto a cui mi sono appassionato si chiama Resistenza in Cirenaica, che dal 2015 si occupa di ricontestualizzare i nomi dei luoghi a partire proprio da quello in cui vivo io a Bologna, via Libia, trasformandolo in “via Libia, luogo di crimini del colonialismo italiano”. Mettendo dunque dei sottotitoli, quasi delle didascalie ai cartelli delle strade.
Autore: Till Antonio Mola