Il bolzanino Manuel Randi è uno dei chitarristi più talentuosi nati a queste latitudini. Il suo estro lo rende un musicista a 360 gradi, a suo agio nei tantissimi generi che esplora sia quando si esibisce con lo Herbert Pixner Project che quando suona da solo o in trio. La tecnica al fulmicotone con cui affronta le parti più concitate e il tocco inconfondibile con cui cesella quelle più intimistiche sono due facce di una versatilità assoluta che lo rende in grado di passare senza soluzione di continuità dal Gypsy Jazz alle atmosfere più mediterranee del flamenco, dal blues all’hard rock neoclassico. Gli abbiamo chiesto di aprire il cassetto dei ricordi e di raccontarci come si è avvicinato alla chitarra, strumento di cui è considerato un virtuoso.
Manuel Randi, quando ha deciso di imbracciare la sei corde?
Già a sei anni ero affascinato dal mondo della musica. Passavo le ore a sfogliare libri che ritraevano strumenti e orchestre. Mio padre era molto appassionato e ascoltava di tutto: da Bach al flamenco fino ai Pink Floyd. Questa varietà di stili ha sicuramente lasciato un’impronta importante sulla mia formazione musicale. Iniziai a suonare la tastiera a orecchio, una classica pianola bontempi. Poi è venuto il momento in cui avrei voluto suonare il sax ma, essendo piccolo, mi consigliarono il clarinetto, lo strumento che studiai per diversi anni, anche al conservatorio. Intanto, dai sette anni, avevo cominciato a strimpellare qualche accordo sulla chitarra e andai avanti così fino a quando venni folgorato da una musica che mi elettrizzava e che era in sintonia con la voglia di ribellione che si ha nella prima adolescenza. Avevo cominciato ad ascoltare hard rock ed heavy metal: Scorpions e Iron Maiden, band in cui la chitarra elettrica la faceva da padrona e capii cosa volevo veramente suonare: pezzi che, ovviamente, col clarinetto non era possibile eseguire. La chitarra mi ha offerto nuove possibilità espressive.
Qual è stata la sua prima chitarra?
La prima chitarra che ho avuto è stata una classica, prestatami da mio zio Antonio. Poi ho dovuto ridargliela e allora, visto che non avevo mezzi economici, per comprarne una nuova e i miei mi avevano già comprato un clarinetto, io e il mio amico Valerio De Paola – oggi musicista, produttore e arrangiatore – abbiamo letteralmente raccattato due chitarre acustiche Eko dalla strada, vicino a un cassonetto. Le abbiamo ripulite e sistemate affinché potessero essere suonabili e con quelle abbiamo cominciato. Io avevo personalizzato la mia, appiccicando sulla cassa un adesivo con il dito medio, che le dava un aspetto molto punk. Abbiamo imparato su strumenti di qualità discutibile ed è stato forse un bene. Teniamo presente che, all’epoca, nella seconda metà degli anni ’80, strumenti come le Fender Stratocaster USA erano oggetti esotici, inarrivabili.
Poi è arrivata una chitarra elettrica vera e propria?
Sì, verso gli 11 anni. Me la comprò mio padre da un suo cugino. Era una Squier giapponese dell’81 che ho poi ho rivenduto. Non l’avessi mai fatto. I giapponesi all’epoca riuscivano a riprodurre i modelli che avevano fatto la storia della casa americana. Era un’ottima chitarra, color crema, del tutto simile a quella usata da Hendrix nel concerto a Woodstock e oggi ne ho una americana uguale, replica della Strato del ’54. All’epoca ero attratto dal metal e quindi avvertivo il bisogno di una chitarra diversa, più aggressiva. Quindi ho avuto una Washburn e subito dopo una Charvel, altra classica marca di strumenti di quegli anni, color rosa, su cui mi sono fatto le ossa e che ho rivenduto in seguito. Era l’epoca dei chitarristi super veloci come Yngwie Malmsteen, Steve Vai o Eddie Van Halen e mi lasciavo ispirare e influenzare dal loro suono.
Si è pentito di essersi disfatto di alcune chitarre?
Certo. Mi sono separato da molti strumenti e, ora, me ne pento. Ad esempio una Les Paul del 1971 o anche amplificatori Marshall che adesso costerebbero una fortuna. O, ancora, una Heritage da jazz. Purtroppo allora non avevo i soldi per potermi permettere tante chitarre e ogni volta che volevo cambiare suono, dovevo per forza vendere qualcosa. Adesso avrei voglia di riavere alcuni strumenti del passato ma al tempo non avevo alternative.
Lei è conosciuto per la sua bravura anche con la chitarra flamenco. Quando avvenne il passaggio alle corde di nylon?
C’è stato il momento in cui fare assoli lunghi e complicati era fuori moda, quasi “sconveniente”. Erano gli anni in cui era esploso il grunge e i Nirvana erano il gruppo più amato (e che adoro anche io, tra l’altro). Andai un po’ in crisi e scoprii un altro tipo di chitarra: la chitarra flamenco. Si trattava di un genere che già mi era familiare e che mi permetteva di lasciare correre le dita, com’ero abituato a fare. Io sono un amante della corda in nylon e la chitarra flamenco mi permette di esprimermi al 100% mentre con l’elettrica penso di non raggiungere la stessa libertà. Amo il flamenco, anche quello ibridato con altri generi musicali: è un genere cui mi sento molto affine. Non ho mai sognato la California, musicalmente.
Quante chitarre ha attualmente o ha avuto nel corso degli anni?
È difficile quantificare il numero degli strumenti che mi sono passati per le mani. Adesso ho 30 chitarre ma ne uso otto, che porto con me quando suono in tour. Due per sorta: due flamenco, due acustiche che uso per le accordature aperte, due elettriche, e due chitarre per gipsy jazz alla Django Reinhard.
Ci sono marchi storici a cui è particolarmente devoto?
Non direi. Non sono un feticista dello strumento. Ho imparato a ricercare accuratamente il mio strumento, quello che più si avvicina al suono che ho in testa. Quando sono in tour mi sveglio la mattina e vado a provare strumenti nei negozi locali, soprattutto in Germania. Nella mia vita da musicista, agli inizi ho avuto spesso strumenti “sotto tono” per via dei soldi, per cui ho imparato a raffinare le mie capacità di riconoscimento dello strumento. Mi intendo un po’ di liuteria per cui se una chitarra suona bene ma ha bisogno di un intervento, ci lavoro finché non la riporto alla sua condizione migliore. Come detto, non mi interessa la marca, non sono un collezionista.
Ha una chitarra dei sogni? Quella per cui farebbe una follia?
La chitarra dei miei sogni devo dire che l’ho comprata poco tempo fa, grazie alla gentilezza di un fan che me l’ha ceduta a un prezzo da amico. Si tratta di una chitarra da flamenco, una Conde Hermanos, una chitarra di liuteria molto rara, quella di Paco de Lucia per intenderci, e che uso dal vivo. Recentemente mi sono comprato una nuova chitarra che è la replica della Red Special di Brian May, il chitarrista dei Queen. Sono andato a comprarla in Toscana e la impiego maggiormente in studio, mentre dal vivo uso più la Stratocaster. In studio uso anche molto la Fender Telecaster che è l’elettrica più vicina alla chitarra acustica: essenziale, senza fronzoli. La Strato, invece, è la chitarra che puoi suonare se impari sull’acustica: imbattibile sui suoni puliti, è difficile da domare.
È anche testimonial di un laboratorio di liuteria locale, Thomas Guitars, che ha creato chitarre appositamente per lei.
Con il liutaio bolzanino Thomas Orgler abbiamo un rapporto di amicizia e fiducia costruito 15 anni fa, quando feci un esame di chitarra classica al Conservatorio usando una loro chitarra. Mi sono innamorato dei loro strumenti e ho un po’ contribuito a un concetto e suono di chitarra acustica che loro volevano realizzare. Oggi, in acustico suono solo i loro strumenti che sono i più belli che si possa comprare.
Come vede il futuro della chitarra? Si dice che i Maneskin abbiano rilanciato lo strumento tra i più giovani.
Il futuro della chitarra è legato al futuro della musica. È uno strumento primordiale, quello più diffuso nelle sue diverse vesti storiche e nelle differenti culture in cui è stata reinterpretata: come liuto, oud o altro. Oggigiorno ci sono chitarristi fantastici ma penso che l’attenzione debba sempre essere concentrata sulle canzoni. Sono quelle che rimangono, la chitarra è uno “strumento”, ovvero un oggetto che serve per fare affiorare sentimenti, stati d’animo, atmosfere, idee. Io sono un chitarrista e amo la chitarra perché è il mio strumento, che mi offre possibilità espressive più di altri, ma lo strumento forse, a un certo punto, passa in secondo piano, cedendo il passo alla musica in sé e per sé.
Dopo le parole, lasciamo spazio alle note. Quando sarà possibile ascoltare Lei e le sue chitarre a Bolzano?
L’ultimo concerto l’ho fatto in trio il 9 giugno ai prati del Talvera nell’ambito del Festival gipsy. Il prossimo 28 giugno suonerò invece a Merano con il Jemm Music Project di Max Castlunger.
Autore: Nilo Ruggeri