Fare quello che non c’è

QuiIntervista | 31/10/2024

Qui Intervista a Sergio Camin. Nato nel 1950 a Bolzano, vive e lavora a Ville di Fiemme, Varena (TN), e cerca da più di cinquant’anni di far convivere l’attività pittorica e grafica con la progettazione di luoghi narrativi e di interventi d’arte pubblica e di comunicazione sociale. Iscritto all’ordine dei giornalisti, ha collaborato con giornali e riviste, sua la rubrica “Visti dal Basso” sul quotidiano Alto Adige.

La cosa di me che mi piace di più.

Probabilmente, se me lo fossi chiesto qualche anno fa, avrei risposto la speranza. Adesso c’è molto meno, ma, mai aver paura delle contraddizioni. Mi è rimasta una cosa un po’ diversa che potremmo chiamare entusiasmo, nel senso che non spero, ma ci provo.

Il mio principale difetto.

Beh, sicuramente l’entusiasmo.

Il mio momento più felice.

Svegliarmi la mattina e ritrovare Claudia, un rapporto senza recite, senza finzioni e quella cosa straordinaria che è il sentirsi interi, completati.

Da bambino sognavo di diventare…

Io da bambino non ho mai sognato di diventare, da bambino ero di volta in volta indiano, cowboy, guerriero e non a caso si diceva “facciamo che io ero…”

La mia occupazione preferita.

Il mio lavoro, l’artista, e la cosa è un po’ complessa da far capire agli altri. La prima volta mi è successo a 26 anni, all’inaugurazione di una mia mostra a Mantova. La signora elegante aveva una faccia seria e mi chiese “Belli, ma di lavoro lei che cosa fa?”. Ecco: questo facevo e faccio.

Il luogo dove vorrei vivere.

Quello dove vivo, un paese piccolo con i boschi. Il turista vado a farlo in città.

Sono stato orgoglioso di me stesso quella volta che…

È successo raramente, ma ricordo l’ultima. Fila in autostrada, immobili, dietro di me una Ford grigia, 20 minuti, sempre immobili, tutti meno la Ford che mi tampona con forza. Sono uscito dalla macchina e mi sono limitato a chiedergli “Perché?”.

Tre aggettivi per definirmi.

Basso, vecchio e curioso.

Amo il mio lavoro perché…

È pensare e fare quello che non c’è, il comunque possibile o forse perché è soltanto un altro modo di raccontare.

L’ultima volta che ho pianto.

Ieri, pensando a un amico che non c’è più. Credo che piangere faccia bene, che ci aiuti quanto il ridere o l’urlare, per le emozioni non bastano solo le parole.

L’oggetto a cui sono più legato.

È un cavalletto, pesante, professionale, l’ho ancora in studio, un regalo di mio padre ai miei vent’anni. Non aveva molti soldi mio padre e sicuramente l’aveva pagato tanto, mi disse “Ricordati sempre chi vorresti essere.”

La mia maggiore paura.

Dimenticarmi le parole di mio padre.

Rubriche

Editoriale

Fiducia

Questo numero del giornale giunge mentre la maggior parte di voi è intenta nei preparativi per ce...

Mostra altri
Editoriale
Senza Confini

Antisemitismo. Fenomeno che richiede consapevolezza

“L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebr...

Mostra altri
Senza Confini
La Scena Musicale

Anna Carol, il nuovo album della principiante rodata

A poco più di tre anni dal precedente lavoro, Cinetica, la bolzanina Anna Carol – già Carol May K...

Mostra altri
La Scena Musicale
Vivere per l’arte

La Cina di Bernadette Berger

Nata in Carinzia, laureata in lingue, vive a Merano dal 1993. In riva al Passirio, Bernadette ha ...

Mostra altri
Vivere per l’arte
Racconti dalla Bassa

I secoli bui da re Teodorico ai Bavari

L’ultimo imperatore romano d’occidente fu Romolo Augustolo. Salì al trono nel 475, quando aveva a...

Mostra altri
Racconti dalla Bassa
Scorci del capoluogo

La strada dedicata a Antonio Pacinotti

Da via Galileo Galilei ad un certo punto inizia via Antonio Pacinotti; si tratta di un altro fisi...

Mostra altri
Scorci del capoluogo
Tra storia, arte e architettura

La Merano di Franz Kafka

Prima che il Primo conflitto mondiale deflagrasse “Meran” la città di cura dell’Impero asburgico,...

Mostra altri
Tra storia, arte e architettura