Caldaro, i figli del Signore

Attualità | 8/4/2021

Non è certo un caso se ancora oggi gli 8000 abitanti di Caldaro vengono chiamati “Herrgottskinder”, figli del Signore Iddio. Il singolare quanto epiteto, di cui racconteremo la storia al termine di questo visita, abbraccia un territorio ricchissimo di tradizioni religiose e, di conseguenza, anche di chiese. Ad iniziare da quella di San Pietro, seminascosta tra la vegetazione di Castelvecchio. Stiamo parlando della prima chiesa dell’Alto Adige e, sembra, di uno degli edifici di culto più antichi dell’intero Tirolo. La basilica paleocristiana, eretta verso il trecento, è “sorella” di quelle di Aquileia e Milano e simboleggia l’avvento del Cristianesimo. Non è escluso che sia stata fondata dal vescovo Vigilio che cristianizzò la zona e al quale è intitolata un’altra chiesa. Il sito che comprende la basilica è ricco di altre mirabilie archeologiche: ma ne parleremo in un’altra occasione. 
Risalendo il sentiero che conduce al paese, ammiriamo la suggestiva piana della Bassa Atesina fino alla Chiusa di Salorno; ben visibili, dietro il Monte di Mezzo e il Monte Regolo, le cime del Corno Bianco e del Corno Nero. In primo piano, ai nostri piedi, il lago di Caldaro galleggia come una pietra turchese sull’estesa superficie di vigne: a quanto pare testimonianza dell’ultima era glaciale. Da qui si gode di una stupenda vista sui circostanti terrazzamenti dove cresce il rinomato Kalterer See. Nella stagione della vendemmia, lunghe file di trattori (un tempo carri trainati da buoi) carichi d’uva si dirigono verso le storiche cantine situate dietro la vecchia stazione ferroviaria. Alle spalle del lago, gli inconfondibili ruderi dei castelli della nobiltà al servizio dei conti del Tirolo in perenne lotta con il Principe Vescovo trentino, da oltre mille anni vero dominus di queste terre: Laimburg e Leuchtenburg. I primi insediamenti umani, risalenti ad un’epoca precedente l’età del bronzo, sono stati scoperti proprio qui, sulle soleggiate alture a cavallo tra Bassa Atesina e Oltradige. 


Alle spalle dell’abitato, la catena della Mendola, raggiungibile anche con la funicolare che parte da S. Antonio, è da sempre “la” montagna di Caldaro: un tempo pascolo estivo, poi, con gli anni, luogo di villeggiatura dei paesani che vi possiedono ancora le caratteristiche casette sparse nei boschi della Val di Non.
Il nome di Caldaro, che al pari di diversi microtoponimi della zona potrebbe avere un’origine preromana, appare per la prima volta nel IX secolo nella famosa lettera di San Vigilio sulla fondazione della Pieve di Caldaro. Allora era attestato come Caldare o Caldar e Caldarium (un paiolo da polenta appare nello stemma del comune – e la polenta ha notoriamente sfamato intere generazioni di caldaresi), per passare a Caltarn e alla forma odierna dopo il 1500. Di quell’epoca è anche il caratteristico centro del paese ricco di edifici nobiliari realizzati nello stile gotico-rinascimentale che unisce le asprezze nordiche alla soavità mediterranea. Dalla Piazza del mercato, con la chiesa di S. Maria Assunta, campanile e municipio, si raggiungono le varie frazioni: Villa di Mezzo, S. Antonio/Pozzo, S. Nicolò, Castelvecchio, S. Giuseppe al Lago, Pianizza di Sotto e di Sopra, Prey-Klavenz: ognuna con il suo bel campanile.
Caldaro è riuscita a conservare nel tempo le sue caratteristiche paesaggistico-urbane senza cedere alle tentazioni e agli assalti edilizi di altri paesi. Questo aspetto, accanto alla tradizionale economia vinicola, ne rappresenta la principale ricchezza.
Torniamo infine all’aneddoto dei “Figli del Signore”. Un venerdì di un anno imprecisato un forestiero seduto al “Cavallino bianco” udì il suono flebile di una campanella. Chiese all’oste la ragione di quei rintocchi. L’oste spiegò che ogni venerdì a quell’ ora si ricordava il supplizio del Signore. Il forestiero volle sapere perché non si suonasse la campana grande per il figlio di Dio.  “Eh no”, disse l’oste, “da noi la campana grande si suona solo quando muore un vero caldarese”. Allora l’uomo allungò alcune banconote all’oste e disse: “Spero che questo denaro sia sufficiente per far avere la cittadinanza caldarese al nostro Signore.” Da quel giorno i caldaresi vengono chiamati, non senza ironia, Herrgottskinder.

Foto dell’articolo: David Kruk

Autore: Reinhard Christanell

Rubriche

Editoriale

Le nonne attiviste

11 anni fa, in occasione del 25 aprile, ebbi l’occasione di conoscere Estela De Carlotto, leader ...

Mostra altri
Editoriale
Senza Confini

La salute mentale è un diritto

Secondo un’indagine del 2022 quasi l’85 per cento delle ragazze e dei ragazzi altoatesini conside...

Mostra altri
Senza Confini
Tra storia e architettura

Un atelier tutto per sé: i ritratti fotografici di Ilka R...

Fra i numerosi ebrei che giunsero a Merano a partire dal 1832 diverse erano le provenienze geogra...

Mostra altri
Tra storia e architettura
Scorci del capoluogo

La via dedicata a Wolfgang von Goethe

Via Goethe: è una via importante, sia perché collega piazza Domenicani a piazza Erbe, sia perché ...

Mostra altri
Scorci del capoluogo
Racconti dalla Bassa

L’Allmende tra Caldaro e Cortaccia

Chiunque oggi attraversi la Bassa Atesina tra Bolzano e Trento incontra un territorio quasi inter...

Mostra altri
Racconti dalla Bassa
La Scena Musicale

Hubert, il pusterese americano

Lo avevamo annunciato con un certo anticipo, al ritorno di Hubert Dorigatti da Nashville, capital...

Mostra altri
La Scena Musicale
Balconorto

Rocky

È stata una domenica difficile; il nostro canarino Rocky, non c’è più; lui che – insieme a ...

Mostra altri
Balconorto
#qui_foodstories

Carote di sfoglia ripiene

Ingredienti Pasta sfoglia rettangolare1 tuorlo d’uovoPaprica in polvere q.b.1 puntina di colorant...

Mostra altri
#qui_foodstories