Nei giorni scorsi per la casa editrice EMI è uscito un libro intitolato “L’altra strada: i corridoi umanitari, universitari, lavorativi”. Il volume – a cura di Oliviero Forti e del vicedirettotore di Caritas Italiana Paolo Valente, meranese – è una bussola nel mare agitato della mobilità umana contemporanea. Raccoglie analisi, numeri, racconti e voci, tracciando con chiarezza la traiettoria di una “altra strada” percorribile: quella dei corridoi umanitari, universitari e lavorativi. Del libro ne abbiamo parlato con Paolo Valente, collega giornalista e nostro collaboratore da anni per la rubrica “Senza Confini”.
Come è nato questo libro e qual è il suo scopo?
Papa Benedetto disse che quelle della Caritas devono essere delle opere “parlanti”. Il libro vuole essere uno strumento in più per dare al progetto dei Corridoi la possibilità di trasmettere il suo messaggio.
Le cronache schizofreniche di questa epoca ci parlano di calo delle nascite in Europa e necessità di importante manodopera, a tutti i livelli, per mantenere livelli di produttività e stato sociale. Allo stesso tempo però molta parte della politica identifica lo straniero e l’immigrato in particolare come uno dei principali problemi sociali da cui difendersi. In che misura il libro “L’altra strada, i corridoi umanitari, universitari, lavorativi” può indicare una via per tornare ad una razionalità nell’approccio alle dinamiche dell’immigrazione, in grado di tenere conto anche della solidarietà, fino a prova contraria elemento costitutivo delle nostre democrazie?
Il libro racconta storie e racconta il loro contesto. Un contesto fatto di idee e di forti convinzioni, come quella di dover lavorare per il bene comune e non solo per l’interesse di pochi privilegiati. Papa Francesco ci ha chiesto di accogliere, proteggere, promuovere e integrare le persone. I corridoi umanitari sono un’“opera-segno”, ovvero un progetto che da solo non risolve tutti i problemi, ma indica una strada. Nel nostro caso “l’altra strada”, come dice il titolo. Cioè non la strada della mercificazione e della morte delle persone, dei viaggi disperati attraverso il deserto e il Mediterraneo, ma la strada della vita.
Come sono state raccolte le storie presenti nel libro?
Il libro racconta da un lato le vicende di persone che sono arrivate in Italia (a Ragusa, a Firenze e a Milano) attraverso i corridoi umanitari, universitari e lavorativi. Sono anche le storie della comunità che ha accolto. E che si è lasciata interrogare e trasformare da questa esperienza.
“Integrare” deriva da “integro”, cioè “intero”. Esprime la consapevolezza che le nostre società, le nostre comunità non sono mai intere, complete. Non bastano a se stesse. Manca sempre un pezzo. Questo pezzo sono i bambini che nascono, le persone in difficoltà che trovano il loro spazio, le persone migranti che bussano alla porta e, in buona parte, contribuiscono al benessere di tutti.
Qual è l’attuale contesto normativo e politico europeo che riguarda i “corridoi”? Nel libro viene spiegato?
L’Unione Europea riconosce la validità dello strumento del corridoio umanitario. In particolare, promuove percorsi per le persone bisognose di protezione legati allo studio o al lavoro attraverso il finanziamento di appositi progetti. Tuttavia, data la sensibilità (e le strumentalizzazioni) del tema, molto è demandato alla buona volontà dei singoli Stati membri e resta forte la spinta a difendere i confini piuttosto che a guardare oltre.
Qual è il meccanismo con cui Caritas Italiana si relaziona con le altre sedi nazionali nel mondo per portare promuovere la “strada dei corridoi”?
Caritas Italiana opera all’interno della rete Caritas globale, composta da 162 membri nazionali, coordinati da Caritas Internationalis. Vuol dire che in quasi tutti i Paesi del mondo c’è una Caritas con la quale siamo in contatto diretto. Questo è essenziale per lo scambio di informazioni, per l’attuazione di progetti comuni, per gli interventi in caso di emergenze (purtroppo molte, ultimamente). Anche per i corridoi hanno grande valore queste relazioni. La prima parte del percorso avviene infatti nei Paesi di prima accoglienza. È lì che i nostri operatori incontrano le persone, verificano le situazioni più adatte al progetto e cercano di superare, con l’aiuto dei colleghi del luogo, le barriere burocratiche. Il corridoio umanitario presuppone l’esistenza di una solida rete sia all’estero che in Italia. Per questo quelle che raccontiamo non sono solo storie di singole persone, ma storie di comunità e società che si sono attivate.
Autore: Luca Sticcotti