L’ultimo saluto a Papa Francesco

Attualità | 1/5/2025

Nei giorni scorsi è deceduto papa Bergoglio, dopo 12 anni di pontificato, e a Roma si sono svolti i suoi funerali.
A Paolo Valente, meranese e vicedirettore di Caritas Italiana, abbiamo chiesto come sono stati vissuti questi delicati giorni di passaggio per la chiesa cattolica.

Nella vita della chiesa cattolica la scomparsa del vescovo di Roma e l’elezione del suo successore rappresentano sempre una chiave di volta, non solo per il miliardo e 400 milioni di fedeli ma per tutto il mondo, in generale. Papa Francesco come sappiamo ha fortemente caratterizzato il suo pontificato attraverso una grande attenzione ai poveri, gli ultimi e i dimenticati, che sono il focus operativo della Caritas Internationalis, una confederazione cattolica che raggruppa 162 membri affiliati, distribuiti in diversi paesi del mondo. Vicedirettore di Caritas Italiana, da qualche tempo, è Paolo Valente, meranese, che abbiamo interpellato per farci raccontare questi giorni.
Nell’intervista mi rivolgo a Paolo Valente dandogli del tu, come si usa tra colleghi giornalisti.


L’INTERVISTA
Paolo, ci racconti i momenti in cui hai saputo della morte di papa Francesco e come la cosa è stata vissuta in Caritas?
Era chiaro che Francesco non stesse bene. Ma tutti eravamo convinti che fosse sulla via della ripresa. L’ho saputo mentre, il Lunedì dell’Angelo, stavo viaggiando in treno da Merano a Roma. È stato un colpo, sul piano emotivo. Poi, dal momento che la comunicazione di Caritas Italiana fa capo a me, ho subito coordinato le azioni previste in queste situazioni. Non è un caso che subito molti colleghi giornalisti hanno cercato proprio la Caritas per un primo commento: la testimonianza della carità è stata una dimensione centrale in tutta la vita di papa Francesco. Caritas Italiana vive questo evento con dolore e speranza. Come ha detto il nostro direttore: “Il seme che ha piantato in questi anni continuerà a germogliare”.

Bergoglio ha avuto occasione di dire che la Caritas è “la carezza della Chiesa al suo popolo”…
Lo ha detto poco dopo la sua elezione nel 2013: “La Caritas è la carezza della Chiesa al suo popolo, la carezza della Chiesa madre ai suoi figli; la sua tenerezza e la sua vicinanza”. La Caritas infatti non è in primo luogo un’organizzazione umanitaria, ma è un organismo pastorale. Cioè ha il compito di ricordare ai cristiani e alla comunità cristiana che senza l’amore per il prossimo, soprattutto per gli ultimi, la Chiesa non è Chiesa. E che ognuno è chiamato a fare la sua parte. La Caritas è espressione (concreta, non solo a parole) di una comunità consapevole del fatto che solo l’amore salva.

“A San Pietro i ‘primi’ lo hanno congedato, a Santa Maria Maggiore gli ‘ultimi’ lo hanno accolto”


Il tuo ruolo di vicedirettore di Caritas italiana senz’altro ti ha dato la possibilità di incontrare personalmente papa Francesco. Qual è il tuo ricordo personale di questa persona speciale?
Se nel 2014 ho accolto la proposta di assumere la responsabilità di direttore della Caritas diocesana di Bolzano-Bressanone è perché papa Francesco ha avuto da subito, per la Chiesa universale, parole chiare che mi convincevano. Parole e gesti, come quel suo primo viaggio a Lampedusa. In questi anni l’ho incontrato tre volte, con i colleghi, e ogni volta ci sono stati interventi da parte sua che hanno poi segnato il cammino successivo. Ad esempio a Caritas Italiana ha consegnato le “tre vie”. La via degli ultimi, quella del Vangelo, quella della creatività. Le sue parole sono anche all’origine di progetti profetici, come quello dei corridoi umanitari, che vede impegnate in Italia molte comunità diocesane.

Secondo te quali sono stati i maggiori pregi del pontificato di papa Francesco?
Potrei cavarmela citandolo: “Chi sono io per giudicare…”. Vorrei però dire che Francesco è un vescovo e un papa che non ha usato il Vangelo come pretesto per altre cose, ma ha lavorato a ricondurre tutti noi alla sostanza del Vangelo stesso. Vangelo significa “buona notizia” e questa buona notizia è che Dio è amore. In questo c’è una bella continuità tra Benedetto e Francesco. Stili e carismi diversi, ma stesso contenuto. Francesco, di suo, ha sicuramente avuto la forza dei segni.

La morte del papa è un evento che ogni volta rivoluziona la vita della chiesa e dei suoi organismi. Voi come Caritas Italiana come siete state coinvolti nella preparazione e gestione dei funerali di Bergoglio?
Fin dall’elezione Francesco ha voluto sottolineare il suo ruolo di vescovo di Roma. Per questo è stata coinvolta la Caritas diocesana di Roma, in particolare per il momento finale, la tumulazione della salma nella basilica di S. Maria Maggiore. Lì una quarantina di persone in situazione di povertà, alcuni ospiti proprio della Caritas, hanno accolto la bara con una rosa bianca. A San Pietro i “primi” lo hanno congedato, a S. Maria Maggiore gli “ultimi” lo hanno accolto.

A tuo avviso qual è stata la peculiarità di papa Francesco rispetto ai suoi predecessori?
Credo che lo abbiano caratterizzato almeno due aspetti legati alla sua biografia. Il fatto di essere un gesuita e la provenienza dall’America Latina. La Chiesa latino-americana ha vissuto tempi di grande vivacità, oggi forse un po’ meno. E i gesuiti da sempre hanno avuto la capacità di tradurre il Vangelo nel linguaggio e nelle culture delle persone a cui veniva annunciato. Un terzo aspetto: come discendente di migranti, ha avuto, per chi è costretto a lasciare la propria terra, un’attenzione e una tenerezza del tutto particolari. Credo che, rispetto ad altri, lo ricorderemo molto per i suoi gesti e per le sue parole-chiave. Un po’ come Gesù, del resto.

Dopo i funerali di Francesco ora si apre un periodo cruciale che nel giro di pochi giorni porterà all’elezione del nuovo vescovo di Roma. In merito quali sono gli auspici tuoi personali e della Caritas Italiana?
Sono stato al funerale, sabato scorso. C’era presente il mondo, e non mi riferisco a quegli alcuni “grandi” i quali avranno avuto di che riflettere ascoltando l’omelia dell’anziano ma vigoroso cardinale Re. Voglio dire che oggi più che mai abbiamo bisogno di istanze, non solo religiose, capaci di guardare il mondo a 360 gradi, capaci di lungimiranza e di visioni che riescano a risollevarci da una crisi che non è solo climatica, sociale, economica, ma soprattutto etica, umana, di senso. Serve luce nel buio.

A tuo avviso quali sono le principali sfide per la chiesa cattolica che guarda al futuro?
Credo che la sfida principale sia quella di organizzare diocesi e parrocchie in modo tale che le comunità possano essere vive, protagoniste, giovani, coraggiose. Capaci di leggere insieme il Vangelo e di tradurlo nella vita personale, familiare, del quartiere. Una Chiesa, direbbe Francesco, che non ceda alla logica della paura che chiude, che sia invece orientata a iniziare processi, anziché a occupare spazi. Che non sia autoreferenziale ma orientata al bene comune. Pronta a mettere a frutto i doni preziosi di cui dispone – ad esempio le donne (non nel senso delle “quote rosa” ma della pari dignità integrale), i giovani, quelli che bussano e tanti altri – perché il mondo riconosce e accoglie il vero Bene – come a Emmaus – solo nell’atto dello spezzare il pane (cioè: si diventa credibili non nell’esibizione, ma nella condivisione dei doni).

Autore: Luca Sticcotti

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