Archeologia e scambi culturali: Alto Adige da sempre crocevia di civiltà

Attualità | 6/2/2025

Viviamo in una terra che è da sempre una terra di incontri, scambi e influenze culturali, come dimostrano le testimonianze archeologiche che emergono dal suo sottosuolo. A guidarci in questo viaggio nel passato è il professor Umberto Tecchiati, bolzanino, archeologo e docente presso il Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano. 

Dalle tracce di contatti con il mondo etrusco ai reperti che raccontano l’evoluzione delle comunità locali, Tecchiati ci offre uno sguardo approfondito su un territorio che, ben prima dell’epoca romana, era già parte di una fitta rete di scambi. Un racconto che ci permette di riscoprire le radici più antiche del nostri territorio e di comprendere come la sua storia sia sempre stata segnata dalla multiculturalità e dall’innovazione.

L’INTERVISTA

Tecchiati, si possono individuare influenze e connessioni tra le comunità protostoriche locali, pensiamo ai Reti, e le popolazioni italiche?

Oltre a una serie di oggetti di artigianato riconducibili alla manifattura italica, emergono anche evidenze archeologiche meno appariscenti ma altrettanto significative. Un esempio in tal senso proviene dall’insediamento dell’Età del Ferro di Bressanone, attivo tra il VI e il I secolo a.C., dove sono stati rinvenuti resti di animali non appartenenti alla tradizione locale, come l’asino e il pollo. Questi ritrovamenti indicano chiaramente importazioni da aree esterne. Per quanto riguarda l’asino, possiamo ipotizzare un collegamento con insediamenti etruschi come Adria o Spina. Il caso del pollo è più complesso, poiché la sua presenza è attestata in quell’epoca anche a nord delle Alpi, rendendo difficile stabilire con certezza la sua provenienza. Tuttavia, l’insieme delle testimonianze archeologiche suggerisce un forte legame con il mondo etrusco, in particolare con l’area padana, lasciando intendere che tali introduzioni abbiano influito sull’economia e sulla gestione delle risorse animali della regione.

Quali sono i siti archeologici più significativi in provincia per ricostruire la storia e l’identità di questa terra?

La domanda è un po’ complessa, poiché l’archeologia dell’Alto Adige è molto ricca e copre un ampio arco temporale. Si può partire dai cacciatori-raccoglitori del Mesolitico, che sono ben documentati, soprattutto nelle zone alpine, dove si trovano importanti stazioni di caccia estiva, come quelle dell’Alpe di Siusi. Sono numerosi anche i siti neolitici legati ai primi agricoltori e allevatori. L’Alto Adige è stato abitato intensamente fin dall’antichità, anche durante l’Età del Rame e quella del Bronzo.
Fino a buona parte dell’Età del Bronzo, la nostra terra partecipava a culture più ampiamente estese, condividendo aspetti diffusi sia nell’arco alpino che nella Pianura Padana. In questo periodo, il territorio era dunque inserito in un contesto culturale più vasto. Tuttavia, a partire dalla fine dell’Età del Bronzo, intorno al 1200 a.C., si sviluppa una cultura locale autonoma: la cultura di Luco (dalla località presso Bressanone).
Pur mantenendo contatti con altri territori, questa cultura si distingue per la sua originalità e indipendenza. È la base degli sviluppi successivi dell’Età del Ferro, con la cultura retica. Possiamo quindi dire che, almeno dal 1200 a.C., la presenza umana nel nostro territorio è caratterizzata da espressioni culturali proprie, documentate attraverso gli scavi archeologici. Si tratta di una cultura autonoma, ma al tempo stesso inserita in vaste reti di contatti e scambi, capace di esprimere un’identità ben definita rispetto alle aree circostanti.
Nel 15 a.C., i popoli alpini vengono assoggettati dai Romani, anche se già dalla seconda metà del II secolo a.C. sono attestati scambi che si intensificano nel corso del I secolo a.C. Questi incontri segnano l’inizio di una commistione di lingue e culture che diventerà una caratteristica distintiva del nostro territorio, visibile anche nell’epoca medievale, moderna e fino ai giorni nostri.
Quindi, sebbene non esista un sito archeologico specifico che possa ricostruire un’identità unica e consolidata nell’Alto Adige, ciò che emerge chiaramente dai vari siti è la presenza di una multiculturalità che è una delle caratteristiche fondamentali della nostra terra anche oggi.

Ci può raccontare la storia delle botti di legno, risalenti al V secolo a.C. e scoperte a Bressanone?

Sì, è stata una scoperta affascinante che ho avuto modo di fare quando lavoravo come archeologo presso l’Ufficio Beni Archeologici della Provincia di Bolzano, molti anni fa. A Bressanone, in una casa incendiata risalente all’inizio del V secolo a.C., intorno al 450 a.C. ca., abbiamo trovato tutti gli arredi lignei carbonizzati in un violento incendio. Tra questi, c’erano anche botti in legno di larice, con le doghe e le cinghie ancora perfettamente distinguibili.
Oltre alle botti, c’era un tino e una serie di recipienti ceramici che probabilmente contenevano vino. È molto probabile che almeno una parte di questo vino fosse prodotta localmente, considerato che il clima del V secolo a.C. era particolarmente favorevole agli insediamenti umani e alle attività agricole anche in area alpina.
Tuttavia, è plausibile che in parte il vino provenisse dall’area egea: il vino greco arrivava in Pianura Padana e da lì risaliva l’Adige e arrivava poi, grazie ai commerci, fino ai prìncipi celtici dell’Età del Ferro a nord delle Alpi, molto interessati alle materie prime, ai prodotti alimentari e alle manifatture del mondo greco e mediterraneo.

Tornando alle botti, come possiamo essere certi che fossero una produzione alpina?

Abbiamo un’importante attestazione nell’enciclopedista latino Plinio il Vecchio, dai cui scritti sappiamo che i popoli alpini producevano vasi di legno tenuti insieme con cinghie, che non potevano essere altro che botti.
Questa testimonianza è posteriore rispetto alle botti di Bressanone, ma rappresenta un riferimento essenziale. Inoltre, le botti di Bressanone sono le più antiche mai scoperte: non esistono ritrovamenti simili della stessa epoca in altre zone. Gli studiosi di recipienti antichi ritengono che siano stati proprio i Reti gli inventori di questo tipo di contenitore, destinato a un successo straordinario nei secoli successivi.

Autore: Till Antonio Mola

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