Dalla piana bolzanina fino alla chiusa di Salorno, la Bassa Atesina si insinua come un cuneo lussureggiante nella valle dell’Adige. Gode di un clima e di una vegetazione quasi mediterranei, ragion per cui fin dai tempi più antichi molti geografi e viaggiatori l’hanno descritta come la porta del mondo padano-italico, con il quale ha sempre intrattenuto intensi rapporti di scambio commerciale e culturale.
Ai suoi lati la cingono catene montuose contrassegnate da tutt’altre caratteristiche ambientali. Vallate come quelle di Non e di Fiemme sono sempre rimaste fedeli alla loro tradizionale civiltà alpina. Per quanto possa sembrare strano, proprio in queste due valli “nordiche” si è conservato l’antico elemento romanico-ladino, mentre nel “torrido” fondovalle questo ha dovuto cedere il passo alla graduale espansione di quello bavaro-germanico insediatosi sul substrato longobardo presente da un paio di secoli.
La cultura della vite e del vino si è rivelata non solo l’elemento di congiunzione privilegiato tra le terre alpino-retiche e il mondo etrusco, greco e romano-italico, ma anche quello che ha favorito la conquista di questo territorio da parte dei popoli germanici nei secoli successivi.
Quando a partire dal VI secolo i Bavari sono avanzati nella valle dell’Adige tra Merano e Bolzano e, poi, anche tra Bolzano e paesi oggi trentini come Lavis e Mezzocorona, il fattore economico trainante della loro conquista è stato proprio quello della viticoltura. Non che il vino sia stata un’invenzione dei Bavari, tutt’altro. Ma certo è che essi ne erano grandi estimatori e consumatori e in breve tempo la valle dell’Adige si trasformò nel vigneto privato dei conventi e delle case nobiliari bavaresi.
La tradizione vinicola della valle dell’Adige ha radici ben più profonde e si può far risalire perlomeno ai Reti e ai Romani. Prima ancora, nell’età del bronzo, circa 3500 anni fa, i popoli della cultura delle Terramare che vivevano nella pianura padana (tra Cremona, Mantova e Verona) e attorno alla lago di Garda (Peschiera) conoscevano già la vite vinicola e la produzione di vino. Lo testimoniano i residui organici recuperati sulle loro ceramiche e il rinvenimento dell’attrezzatura indispensabile per la produzione, la conservazione e il consumo della nobile bevanda, riservato ai ceti più elevati e sacerdotali. Quegli abitanti padani sono sicuramente giunti anche nella valle dell’Adige per stabilirvi la loro residenza e avviare una rudimentale viticoltura.
Gli etruschi intensificarono la produzione e anche la commercializzazione del vino e grazie a loro la coltivazione della vite si diffuse sistematicamente anche in area prealpina e alpina. Quell’epoca ha lasciato numerose tracce, come per esempio le numerose situle (secchi di metallo), tazze, resti di botti e anfore, brocche, attingitoi, falcetti, frammenti di torchio e altro ritrovati in molte località, dalla Val di Cembra a San Maurizio / Bolzano, dalla Val d’Isarco ai paesi dell’Unterland come Ora, Egna e Laives, dove in zona Galizia è stato scoperto anche un terrazzamento con muretti a secco di 2500 anni fa destinato alla coltura della vite. A loro risale anche la tradizione del commercio di vino verso le zone germaniche. Plinio il Vecchio racconta che i popoli alpini trasportavano il vino in botti di legno e non in anfore come i greci e i romani.
Il miglior vino retico, prodotto principalmente nel veronese (Valpolicella) e nella valle dell’Adige era apprezzato da tutti gli autori classici dell’epoca romana, che lo classificavano quale secondo miglior vino dopo il Falerno. Virgilio scrisse “et quo te carmine dicam, Raetica? nec cellis ideo contende Falernis. Svetonio, nella vita di Augusto, ci narra che l’imperatore gradiva soprattutto il vino retico.
La stessa città retica di Tridentum nacque grazie al commercio di vino verso Roma. Dopo la conquista romana del 15 a.C., la coltivazione della vite aumentò considerevolmente e coloni romani si insediarono lungo tutta la valle dell’Adige. Ne sono testimoni i nomi di molti paesi, come la stessa Bauzanum (predio o podere di Baudio), Appianum (di Appio), Cornaiano (di Corneliano), Missiamo, (di Missus), Andriano (di Andrius) e Terlano (di Torilius).
Autore: Reinhard Christanell