Nel 1004 venne costituito il Principato vescovile di Trento. L’imperatore Enrico II di Baviera donò al vescovo di Trento Udalrico I il comitatus trentino, corrispondente più o meno all’attuale provincia di Trento e parte della Bassa Atesina e dell’Oltradige. Il sovrano volle in tal modo ricompensare il fedele alleato per l’aiuto nel conflitto contro il re d’Italia Arduino di Ivrea. Insieme a quello di Trento, anche il vescovo di Bressanone soccorse l’imperatore.
Scrisse a tal proposito l’arcidiacono della basilica di Trento Joseph Kögl: “Il 9 aprile 1004 l’imperatore Enrico II il Santo (…) sostava a Trento, e, validamente appoggiato dal Vescovo di Trento e da quelli dei dintorni (Bressanone), trovava modo di aggirare Arduino d’Ivrea, che gli aveva ostruito la strada imperiale lungo l’Adige verso Verona”.
Qualche anno dopo, nel 1027, la donazione fu in certo qual modo ripetuta o forse formalizzata: il 31 maggio e il 1. giugno, infatti, l’imperatore Corrado II donò alla chiesa di Trento le contee di Venosta e di Bolzano, oltre a quella di Trento. Il territorio, assegnato “in proprium jus et dominium” rimaneva tuttavia saldamente incorporato nel Sacro Romano Impero e il vescovo continuava a dipendere dall’imperatore. Aveva l’obbligo, oltre a quello di amministrare la giustizia e di incamerare le tasse, di assistere militarmente l’imperatore quando se ne ravvisasse il bisogno. In particolare, era responsabile della sicurezza dell’importante strada di collegamento tra Roma e la Germania nel tratto di sua competenza.
Proprio in quel periodo e nei secoli successivi, nei documenti notarili e ecclesiastici compare spesso il termine “arimannia”, a volte anche modificato in “Rimanien” o “Romanien”. Sappiamo che gli arimanni (da Heermannen) erano guerrieri longobardi (nobili o liberi contadini) a cui tradizionalmente venivano assegnati dei terreni da coltivare sottratti ai vecchi proprietari romani in cambio della salvaguardia del territorio, in particolare lungo le linee di confine. Questi arimanni si riunivano in arimannie, comunità autogestite attorno ad un castello. Anche il territorio trentino, con la Bassa Atesina e la Val di Fiemme da un lato, l’Oltradige e la Val di Non dall’altro erano presidiati da arimannie. Se ne conoscono, per quanto riguarda la Bassa Atesina, a Ora e a Montagna, mentre in Val di Fiemme sono note quelle di Castello e di Trodena.
Proprio gli abitanti di Trodena, che facevano parte della comunità generale di Fiemme (che arrivava proprio dalla “clussa de Trodena fino al pons de la Costa” presso Moena) nel 1111 sottoscrissero un contratto con il Vescovo di Trento Gebardo (1106-1120) che li esonerava dal pagamento di tutti i dazi e le tasse in cambio di 24 arimannie. In quel periodo, i Longobardi erano spariti dalla scena da secoli ma, stranamente, i tributi dovuti dalla popolazione al Vescovo venivano ancora calcolati in vecchie arimannie. Ciò ci dimostra quanto fossero forti e radicate la tradizioni longobarde in questo territorio di confine. Cos’erano, dunque, le arimannie di Trodena? Ovviamente non più truppe di guerrieri a cavallo che sorvegliavano il territorio del Vescovo trentino ma il controvalore in denaro o i beni necessari per armare e mantenere un arimanno in tempo di guerra. E che questo arimanno fosse in realtà anche un cavaliere è dimostrarlo dalla presenza del termine “fodrum”, la biava per il cavallo. Dunque, gli abitanti di Trodena – che faceva parte della comunità di Castello-Carano-Trodena) si obbligarono a versare nelle casse del Vescovo il corrispondente di 24 arimannie in cambio dell’esenzione da dazi e tasse. Presumibilmente, dato il numero esiguo di abitanti, le arimannie a carico della sola Trodena non superavano le dieci unità. Chi era tenuto a contribuire all’obolo da versare al Vescovo e come era composto? Per quanto riguarda Trodena, erano i proprietari dei masi i titolari dell’imposta, mentre alcune case come quella parrocchiale o le prime ville dei ricchi villeggianti di Egna erano esentati dal pagamento. In un documento del XIV secolo risulta che le arimannie di Trodena erano da versare il giorno di S. Martino e precisamente 6 starioli di orzo e segale, 6 starioli di frumento, 10 Berner (monete) e in maggio ulteriori 10 Berner. In totale, erano probabilmente una cinquantina gli edifici di Trodena, Carano e Castello obbligati al versamento delle arimannie. Per tale motivo venivano anche chiamate – come nella vicina Cavalese – case romane.
Dopo il XIV secolo, le arimannie andarono lentamente scomparendo e al loro posto per il calcolo delle imposte venne introdotto il concetto di focolare, che rimarrà in vigore fino alla fine del principato vescovile di Trento nel 1802.
Autore: Reinhard Christanell