Quale futuro per scuola plurilingue e “proporzionale”? 

Attualità | 9/2/2023

Alcuni pilastri dell’autonomia altoatesina recentemente hanno iniziato a scricchiolare. Aumentano infatti le spinte a mettere mano, prima o poi, al sistema scolastico che prevede l’insegnamento veicolare attraverso la seconda lingua solo come eccezione e al meccanismo della cosiddetta “proporzionale etnica”, che disciplina l’ammissione ai pubblici impieghi l’assegnazione di alloggi popolari, in modo da garantire un’allocazione proporzionale ai tre gruppi linguistici italiano, tedesco e ladino. Di questi temi ne abbiamo parlato con il docente, costituzionalista ed ex senatore bolzanino Francesco Palermo.

// Di Luca Sticcotti

Oggi ci sono due motivazioni che spingono verso l’introduzione formale della scuola plurilingue in Alto Adige. La prima è la presenza di un numero sempre maggiore di famiglie mistilingui, in cui tra l’altro spesso madrelingua è una lingua “altra” rispetto alle tre lingue ufficiali. La seconda è che il sistema scolastico altoatesino si è dimostrato storicamente poco efficace nel suo compito di impartire un insegnamento adeguato della seconda lingua sia nelle scuole italiane che in quelle tedesche.

In tutta la questione dei diritti linguistici quello della scuola è forse l’ambito più sensibile e delicato. In Europa di modelli scolastici ce ne sono tanti e sono tutti tagliati sulla situazione delle varie minoranze. A fare la differenza di solito è la consistenza numerica delle minoranze linguistiche. Spesso ci si limita a un insegnamento “della lingua”, o a un minimo uso veicolare. 
Nei contesti più simili alla situazione dell’Alto Adige, in cui c’è una minoranza compatta territorialmente e numericamente maggioritaria o quasi, sono invece più frequenti i modelli di separatismo. 

Separatismo?

Sì, si chiamano proprio così. Si tratta di un modello con due gestioni separate. Servono a preservare la lingua e le tradizioni della minoranza attraverso l’istruzione. E il modello scolastico diventa dunque funzionale al mantenimento di una società che abbia questa diversità di fondo. Dove le lingue minoritarie sono in via di estinzione, si compiono anche dei compromessi sul tipo di lingua da insegnare. Per questo cimbri e mocheni hanno individuato il tedesco come alternativa all’assimiliazione, grazie al fatto che per il tedesco si trovano insegnanti e libri, contrariamente a quanto accade per le lingue originarie dei quelle valli trentine. Anche in Valle d’Aosta si è proceduto in questo modo. In quella regione non c’è un vero e proprio bilinguismo perché al dialetto patoué valdotèn di tradizione orale si è sostituito il francese quale lingua d’insegnamento a scuola. Anche in questo caso si tratta di un compromesso. In Valle d’Aosta quindi c’è una sola scuola, con materie veicolate in francese e materie veicolate in italiano.

Il sistema scolastico valdostano funziona dal punto di vista del livello di conoscenza linguistica dei cittadini?

Sì. Se invece si vuole un sistema funzionale alla salvaguardia del gruppo etnico-linguistico allora si hanno modelli come il nostro. Anche se in realtà c’è una contraddizione di fondo.

Quale?

Anche da noi in realtà la lingua parlata dalla minoranza è un dialetto e non il tedesco standard. Ma in questo caso non si tratta di un dialetto che è soggetto a erosione. 

Ci sono altri territori plurilingui in Europa dove, come da noi, di fatto non si utilizzano modelli scolastici misti?

Solo in parte. Al confine tra Germania e Danimarca esistono scuole in lingua tedesca nel territorio danese e scuole in lingua danese nel territorio tedesco. In quelle zone però l’apertura all’altra lingua è abbastanza naturale, perché fuori dalla scuola non esiste una separazione linguistica come da noi dove la maggior parte degli italiani non sanno il tedesco e sempre più tedeschi che non parlano l’italiano, perché la maggior parte delle persone vivono in un ambiente sostanzialmente monolingue. Lì al confine tra Germania e Danimarca hanno poi lo stesso problema che c’è qui da noi nella scuola tedesca. Ovvero: è pieno di persone di madrelingua maggioritaria che vogliono frequentare queste scuole monolingui di minoranza. La stessa cosa accade in Carinzia, ovvero in Austria, dove c’è una grandissima domanda da parte di austriaci che vogliono mandare i loro figli alla scuola slovena, dove si insegna in sloveno, tedesco e in parte anche inglese e italiano. 

Questo aspetto è interessante. La Carinzia è infatti un territorio molto vicino culturalmente e linguisticamente al Sudtirolo… Nei territori citati quindi non esiste una legislazione locale che impedisca di fatto la scuola plurilingue…

Questo tipo di legislazione in realtà non esiste neppure da noi! C’è invece, naturalmente, una legislazione che prevede la scuola della minoranza. Si tratta solo di una questione di interpretazione, tant’è vero che adesso, improvvisamente, abbiamo saputo si potrà fare. Nella scuola italiana come sappiamo la scuola plurilingue è già abbondantemente sperimentata, con le classi ad immersione. E ora si parte anche nella scuola di lingua tedesca. 
Dobbiamo ricordare che l’articolo 19 in merito è chiarissimo: si sancisce diritto intoccabile della minoranza di avere una sua scuola. Punto. Ed esiste l’autonomia scolastica, per cui ogni scuola può scegliere in teoria un approccio didattico. Va poi osservata un’ulteriore contraddizione. L’art. 19 non vieta la scuola plurilingue, ma dà però delle precise indicazioni in merito alla procedura che possono adottare le scuole per non ammettere alunni che vengono ritenuti privi della necessaria competenza linguistica di base per potervi accedere. In sintesi: vi è la libertà di iscrivere i figli a qualsiasi scuola, poi la scuola può fare le sue verifiche e rifiutare l’iscrizione ma rispetto a questo rifiuto poi la famiglia può fare ricorso. Ebbene: rispetto a questa parte dell’art. 19 ormai da molto tempo c’è una grandissima tolleranza. Ed è una tendenza, questa che come abbiamo visto, ritroviamo molto diffusa anche in Europa. C’è una grande spinta, da parte delle maggioranze, a far frequentare ai figli le scuole delle minoranze. Poi è chiaro che le situazioni possono essere molto diverse anche in relazione alla “distanza linguistica” tra gli idiomi in uso nel territorio plurilingue. Ad esempio in Spagna la lingua catalana è molto più simile allo spagnolo di quanto non lo sia invece il basco nel nord nel paese. Nei paesi baschi ci sono ben quattro modelli: monolingue 1, monolingue 2, misto a prevalenza 1 e misto a prevalenza 2. Ci sono dunque tutte le gradazioni. Potremmo pensarci anche noi.

LA PROPORZIONALE

La proporzionale è presente anche in altre zone d’Europa?

Sì, c’è, con declinazioni diverse, soprattutto nei Balcani. Quasi tutti i paesi balcanici hanno la proporzionale, ma è flessibile e non aritmetica. Si dice che deve esserci una rappresentanza “adeguata”, “proporzionata”, “equa”… 

C’è dunque la possibilità di interpretare…

Sì. La cosa può sembrare positiva, ma non è detto che sia così. Può infatti diventare facilmente una fregatura a svantaggio del più debole. Spesso dipende in pratica dal peso politico delle minoranze per i governi. Altrimenti ci sono altri contesti in cui l’equivalente funzionale della proporzionale esiste, ma è basato sulla lingua, non sull’appartenenza. 

Non esiste nessun altro territorio in cui il meccanismo della proporzionale è basato su un censimento linguistico?

No, non ce ne sono altri in Europa. I censimenti negli altri territori, se ci sono, servono solo a fini statistici.

Perché nel 2023 abbiamo ancora bisogno della proporzionale e non può bastare la certificazione linguistica?

Come misura ripartiva rispetto al passato direi che non ne abbiamo più bisogno, nel senso che lo scopo di stabilire la giusta proporzione dei posti nella pubblica amministrazione sulla base della consistenza dei gruppi linguistici è stata raggiunta. Ma la domanda oggi è se ne abbiamo ancora bisogno per motivi di pace sociale. Si tratta di una domanda con un contenuto politico. 

Recentemente la domanda è stata posta, in particolare, per il settore della sanità dove la proporzionale complica le cose nella difficile impresa di individuare nuovo personale…

Sì, lì c’è un altro paradosso. Si parla molto di bilinguismo ma in realtà il vero problema è appunto la proporzionale. Sul bilinguismo non si dovrebbe nemmeno discutere. Non capisco come medici e infermieri possano riscontrare tutti questi problemi nell’acquisire le necessarie certificazioni, loro così abituati a studiare nei loro percorsi di studio e qualificazione. 

In realtà la gestione del comparto sanitario in questo periodo pare si stia finalmente attrezzando, per offrire al personale dei percorsi più validi e funzionali volti a promuovere le loro certificazioni linguistiche. 

Spesso il nuovo personale viene da fuori, dal resto d’Italia, dalla Germania o dal resto del mondo. La proporzionale era stata pensata per altri motivi, in questo caso non c’entra nulla. 

Insomma: occorre essere pragmatici. 

Sì. Oggi bisogna puntare sulle competenze, settore per settore. E se dobbiamo mettere in discussione la proporzionale occorre farlo con molta attenzione e in maniera graduale, si tratta infatti di un tema davvero sensibile. L’Alto Adige sta cambiando e piuttosto rapidamente. Bisogna chiedersi se l’adeguamento sociale sta andando di pari passo. Da studioso delle norme devo dire che quando la norma è troppo lontana dalla realtà ad un certo punto il meccanismo si rompe. Essere pragmatici va bene, ma il pragmatismo va accompagnato a una visione del futuro.  

Autore: Luca Sticcotti

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