A metà ottocento, una tremenda malattia colpì i vigneti della Bassa Atesina e dell’Oltradige. Le conseguenze catastrofiche dello sconosciuto malanno, capace di rovinare completamente i raccolti, misero a repentaglio la stessa esistenza dei viticoltori e molti di loro incominciarono ad abbandonare o eliminare le pregiate viti. Alla malattia venne dato il nome popolare di Mal Bianco, ma in realtà si trattava del temibile Oidio (oidium tuckeri), il cui agente patogeno è un fungo ascomicete che ricopre foglie, fiori e acini di una patina bianca. Il male, si diceva, era stato importato da un coltivatore di piante tropicali dai Mari del sud.
Per diversi anni, il Mal Bianco imperverserò incontrastato tra i vigneti dell’Unterland e non solo. Come nei tempi antichi, i coltivatori pensarono di “scacciare il male” attraverso preghiere, pellegrinaggi e processioni ma, ovviamente, questi non sortirono effetto e ai contadini non rimase che la disperazione.
Un primo tentativo di affrontare in modo scientifico l’oidio fu intrapreso da tale ing. Vulkan di Appiano, che provò, con un discreto successo, a immergere i grappoli in una sostanza vischiosa. Il procedimento era tuttavia laborioso e dispendioso e non trovò concreta applicazione. In Trentino un signor von Fogolari sostituì la “colla di Vulkan” con l’albume dell’uovo e anche in questo caso, nonostante gli indubbi benefici del trattamento, non si giunse alla soluzione definitiva del problema.
Finalmente un agronomo, enologo e farmacista bolzanino di nome Ludwig von Comini-Sonnenburg (nato a Innsbruck nel 1812), sposato alla bolzanina Maria von Tschiderer, riuscì a combattere efficacemente il Mal Bianco nel vigneto del suo maso Kalchgrube cospargendolo di zolfo in polvere. Nonostante l’indubbio successo dell’esperimento, inizialmente lo scetticismo e la superstizione dei viticoltori che von Comini cercò di convincere si rivelarono più ostinati e dannosi del male stesso. Organizzò riunioni e convegni per illustrare ai viticoltori la bontà del trattamento con zolfo ma questi per tutta risposta lo sbeffeggiarono e ricoprirono di insulti. Un viticoltore di Cortaccia di nome Sanoll sostenne che la malattia in realtà era una forma di ruggine ed era causata dai fili del telegrafo che erano stato tesi lungo la line ferroviaria. Propose di interrare i cavi stessi per evitare la contaminazione. Un contadino di Ora di nome Staffler sostenne invece che la malattia era un castigo di Dio e nessuno poteva levare una mano contro la volontà del Signore.
Alla fine, la maggioranza dei contadini della Bassa Atesina si convertì all’uso dello zolfo come suggerito dall’ing. von Comini che, deluso e amareggiato, morì anzitempo nel 1869 a soli 55 anni.
Prima della sua morte, i suoi esperimenti, che avevano incontrato lo scetticismo e gli oltraggi dei contadini, erano comunque stati riconosciuti come ottimo rimedio e onorati dall’arciduca Lodovico e perfino l’imperatore gli aveva conferito la croce d’oro al merito. I viticoltori di Gries, Appiano, Cornaiano, S. Paolo e Termeno gli donarono un boccale d’argento del costo di 3000 Gulden. Oggi una strada di Bolzano è intitolata a questo benemerito “apostolo dello zolfo”, come veniva chiamato dagli scettici contadini, ma pochi ne conoscono i grandi meriti.
Pochi anni dopo, un altro giardiniere importò la peronospora, un fungo letale per la vite. Questa volta i contadini si lasciarono convincere dal centro sperimentale di S. Michele all’Adige, fondato un decennio prima, di trattare le piante con verderame e così riuscirono a contenere i danni di questa malattia. Quando la produzione cominciò finalmente a decollare e l’esistenza dei contadini a migliorare, nell’autunno del 1882 avvenne la grande alluvione che praticamente spazzò via l’intera valle dell’Adige causando danni immensi.
Autore: Reinhard Christanell