Il tratto che più caratterizza la personalità di Alex Langer – e che più ci manca – è la libertà di pensiero. Una libertà autentica, capace di andare oltre schemi preconcetti, pregiudizi, posizioni condizionate al senso di appartenenza. Un pensiero critico, non distruttivo, curioso. Idee che volevano poter abitare la realtà.
Qualcuno, per crearsi un alibi, lo definì un “bastian contrario”, ma non lo era affatto. Di fronte a una realtà segnata dal male, cercava le vie alternative. In questi trent’anni che ci separano dal suo tragico addio (3 luglio 1995), credo non ci sia stata occasione importante in cui non mi sia chiesto io stesso quali domande si sarebbe posto Alex. Non quali risposte. Quali domande.
Ricordiamo tutti quelle parole pronunciate, non a caso, ad Assisi, in alternativa alla cultura della superficialità efficientista: “Io vi propongo il lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini [Citius, altius, fortius: più veloci, più in alto, più forte, ndr.], più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo”.
Il fiato e il pensiero lungo, in un mondo che, già allora, si avviava alla pratica del pensiero breve, perdendo testa, fiato e cuore.
Passava da una parte all’altra, Alex, non come fanno gli opportunisti voltagabbana, ma perché bisogna essere “mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera”. Perché occorrono “traditori della compattezza etnica”, o di qualsiasi altro tipo di appartenenza che disumanizza quando antepone l’io, il gruppo, alla comune natura umana (e non solo). Traditori “ma non transfughi”.
Langer fu un uomo dal pensiero libero. Non vincolato a un’ideologia, non chiuso nella gabbia di un’appartenenza etnica, privo di pregiudiziali e di tabù, come nel campo della bioetica, della pace, della politica. Non un fanatico con la verità in tasca, ma l’uomo delle domande che possono far male, in primo luogo a chi le pone. E che a volte, per un maledetto istante, tolgono il fiato.
Autore: Paolo Bill Valente