Papa Leone

Rubriche | 15/5/2025

Nei giorni scorsi ancora una volta ho seguito con grande interesse il processo che ha portato all’elezione del nuovo papa. La chiesa cattolica conserva tutt’ora una procedura elettiva in grado di garantire una grandissima suspense fino all’ultimo secondo, ovvero fino all’annuncio del nome del cardinale prescelto, in lingua latina, dopo la famosa fumata bianca.
Normalmente siamo abituati a vivere le elezioni politiche come un’inevitabile scontro tra chi vince e chi perde. Con successiva inevitabile divisione per anni, nei consessi politici, tra maggioranze e opposizioni (chissà per ché non minoranze). In Vaticano abbiamo assistito a qualcosa di molto diverso. Diverse “voci” hanno riferito che il nuovo papa abbia ottenuto in conclave un consenso quasi plebiscitario. Si è parlato di “ben più di 100 voti” su 133, ovvero una maggioranza superiore all’80%.
Al momento dell’elezione poi tutti i cardinali si sono affacciati ai balconi, sorridenti, soddisfatti di aver trovato in breve tempo una quadra che rappresentasse davvero molte delle istanze in gioco.
Interessantissima è stata poi la scel ta fatta dal punto di vista geografico, culturale e linguistico. Dopo la svolta internazionalista data dalla chiesa cattolica dal 1978 con la scelta di papi non italiani, questa volta ad essere eletto è stato un papa che in molti non hanno esitato a definire meticcio, ovvero… un “vero americano”.
Robert Francis Prevost è nato a Chicago negli Usa, ma alla cittadinanza americana affianca quella peruviana, portando con sé con un cognome francese, e soprattutto origini creole, spagnole (catalane) e italiane. Un crogiuolo, dunque, con almeno 5 lingue parlate. Se poi aggiungiamo l’appartenenza ad un ordine religioso, la solida formazione universitaria sia scientifica (matematica) che umanistica (filosofia), non potremmo che aspettarci un impronta internazionalista e moderna nel suo approccio alla guida della chiesa nei prossimi anni. Anche se in realtà non è scontato, perché dal medesimo crogiuolo statunitense recentemente sono giunte spinte forti spinte conservatrici, isolazioniste e protezioniste.
Prevost ha però detto di aver scelto il suo nome da papa volendo sottolineare la nuova “questione sociale” che si fa strada oggi con urgenza, sulla scia di disuguaglianze crescenti che ai più appaiono ahinoi ingovernabili.
Papa Leone XIV citando la parola pace nove volte nel suo primo discorso sembra aver centrato un punto che sta a cuore a una stragrande maggioranza dell’umanità.
Gli auguriamo un buon lavoro.

Autore: Luca Sticcotti