Domenico Rosani è un giovane meranese che vive a Utrecht dove insegna diritto penale presso la facoltà di Giurisprudenza ed Economia.
Professor Rosani, quale è stato il percorso di studi che l’ha condotta a questa carriera universitaria e a questa cattedra?
Un percorso è spesso il frutto sia di pianificazione sia del caso, una combinazione di scelte strategiche e occasioni. Tra le prime rientra il fatto che io abbia voluto dare alla mia formazione un taglio internazionale, studiando diritto a Innsbruck e Rotterdam e lavorando poi a Bruxelles e Vienna. Anche nel mio dottorato, svolto a Innsbruck e Padova con la professoressa Margareth Helfer, mi sono concentrato su temi di respiro europeo. Avvicinandomi alla conclusione, cominciai a guardare verso il centro e nord Europa per i prossimi passi. Al più tardi qua entra in gioco il caso: l’università di Utrecht, una delle principali scuole di legge in Europa, aveva in quel periodo bandito una posizione da professore aggregato. Ed eccomi nei Paesi Bassi.
Lei si è occupato di più ambiti del diritto, può brevemente descriverli?
Se la società cambia, come deve cambiare il diritto? Questa è la domanda sottintesa a molte mie ricerche. Mi interesso infatti di come i principi del diritto si rapportano ai mutamenti sociali e tecnologici. Lo sviluppo digitale, ad esempio, ha portato all’introduzione di nuovi reati o a interpretare in maniera ampia quelli esistenti. Un canone fondamentale del nostro sistema ci imporrebbe però di essere prudenti a creare nuovi reati e di leggere restrittivamente le norme penali… L’Unione europea ha poi crescente influenza sui Paesi membri. Fino a che punto ciò è ammissibile senza violare il principio democratico e la sovranità degli Stati? Anche la giurisprudenza ha un peso sempre maggiore, anche perché i parlamenti delegano di fatto molte decisioni ad essa. Ciò però non è molto democratico e di sicuro sta portando a un sistema più frammentato e meno coerente.
In questo momento si sta occupando di “giovani e social media”, è davvero solo un problema dei giovani? Siamo certi che gli adulti siano informati di tutti i rischi legali che si possono correre dando vita ad un proprio profilo?
In tanti ambiti del diritto, chi è più giovane gode di una disciplina speciale perché “ne sa di meno”, mentre l’adulto, per definizione, sa come comportarsi. Rispetto ai giovani, agli adulti vengono quindi attribuite maggiori libertà, riconosciute più responsabilità e fornite meno tutele. Con riguardo alla tecnologia, non sono però sicuro che questo sia necessariamente corretto, in quanto pure tanti adulti hanno una conoscenza limitata degli strumenti digitali e di ciò che vi sta dietro. Allo stesso tempo, questo non deve far dimenticare che anche tanti “nativi digitali”, a dispetto del nome, spesso non sono consapevoli delle conseguenze, per sé e per altri, delle proprie azioni sui social media.
Lei vive a Utrecht, come si trova?
Utrecht è stata per tanti secoli la città principale dei Paesi Bassi e lo si nota tuttora nella ricchezza degli edifici. La mia facoltà ha inoltre il privilegio di essere situata nel cuore del centro storico, il che aggiunge ulteriore bellezza alle giornate lavorative. Ho colleghi appassionati e un clima lavorativo molto positivo, favorito dall’approccio poco gerarchico tipico di questi posti. La cultura locale, poi, è molto pragmatica, rifuggendo i discorsi altisonanti e preferendo la sostanza. Aspetti positivi, questi, che permettono di chiudere un occhio sul meteo e sull’alimentazione olandese.
Ha conosciuto altri italiani o magari altri altoatesini residenti nella stessa città o nelle vicinanze?
Se in passato i Paesi Bassi hanno conosciuto la dominazione spagnola, si dice che ora sperimentino quella italiana. Sono infatti moltissimi i nostri connazionali che si sono trasferiti qua per lavoro, in particolare in ambito accademico. Con molti di essi si entra rapidamente in confidenza, sia per la comune origine culturale, sia per il percorso professionale simile. Esiste poi una rete di altoatesini all’estero, chiamata “Südstern”, che permette di entrare in contatto tra persone della nostra terra.
Stando all’estero avrà modo di apprezzare alcuni aspetti della mentalità e dello stile di vita olandese e forse di essere a disagio per altri.
La popolazione olandese è molto gentile: tanto al lavoro come al supermercato, si viene spesso salutati con un sorriso e una battuta. Questo è sicuramente qualcosa che manca in altri posti d’Europa. Al contempo, non è facile entrare in maggiore confidenza: tutti sono sempre impegnati e tendono a pianificare ogni aspetto della propria vita. Mi è successo di dover organizzare una cena fra amici con tre mesi di anticipo, perché prima nessuno aveva tempo! Se quindi tanti popoli potrebbero imparare dalla cordialità e apertura mentale degli olandesi, pure a loro non farebbe male acquistare un po’ della spontaneità e semplicità di vita propria di noi più “meridionali”.
Cosa rimpiange della sua città?
Lasciando ora da parte famiglia e amici, certamente Merano presenta una bellezza diffusa che è difficile ritrovare altrove. Una città leggera ed elegante, luogo di incontro tra culture, in una mite conca circondata da alte montagne e belle valli – se sicuramente ci sono tanti bei posti nel mondo, Merano è senz’altro uno di essi! In particolare, nei Paesi Bassi non è facile trovare simili angoli di natura e pure il sole non si fa vedere troppo spesso. Al contempo, ciò insegna ad apprezzare anche i più piccoli momenti di bellezza.
Da questa distanza come le appare l’Alto Adige con le sue problematiche storico-politiche e sociali?
Vivere all’estero permette di osservare la propria terra con un occhio più distaccato. Io noto una idealizzazione del modo di vita sudtirolese e delle sue caratteristiche: l’ambiente, il dialetto, i tre gruppi linguistici, l’efficienza. Sembra voler dire: “Noi siamo meglio”. A uno sguardo più attento, si notano però varie rigidità che magari, dall’interno, possono sembrare normali. Ad esempio, una certa tensione a ripetere gli schemi usuali, anche tra gruppi linguistici, oppure una divisione di fatto tra popolazione autoctona e immigrata, o una concezione utilitaristica dell’ambiente.
Quando qui vengono indette nuove elezioni, comunali, provinciali o nazionali lei ha modo di tenersi aggiornato, seguire le campagne elettorali, farsi un’idea che la guidi poi nella scelta alle urne?
Il momento “passivo” – tenersi informato, seguire i dibattiti – non è un problema: buona parte delle notizie giunge anche nei Paesi Bassi. Il momento “attivo”, invece, può essere più difficile. Ad esempio, per le elezioni comunali in primavera, uno dovrebbe tornare due volte in città nel giro di poche settimane, per eleggere prima il consiglio comunale e quindi per il ballottaggio. Sorprende che per le elezioni provinciali sia stata introdotta la possibilità di votare per posta ma non per quelle comunali.
Trovandosi all’estero avrà avuto modo di vedere soluzioni interessanti a questo o a quel problema come ambiente, viabilità, sostenibilità, sostegno ai giovani, educazione, cultura, per nominarne solo alcune. Se potesse, quali consigli avrebbe per Merano o magari per la provincia tutta?
Non ci sono soluzioni che funzionano dappertutto. All’Alto Adige penso però farebbe bene “osare” di più, lasciando maggiore libertà di provare strade diverse da quelle abituali. È questo un discorso che si potrebbe fare in tanti settori: tanto in ambito culturale, educativo, della ricerca, quanto con riguardo ai rapporti sociali o all’economia. A riguardo si potrebbe trarre ispirazione dalla cultura olandese, che tende a sostenere chi sperimenta e innova. In provincia c’è poi un problema salariale: mentre c’è chi sta molto bene, gli stipendi di tante persone non corrispondono al costo della vita. Questo è un motivo perché non pochi vanno a lavorare all’estero.
Che cosa considera invece un irrinunciabile bene prezioso della nostra città o della nostra provincia?
La nostra terra ti insegna ad essere straniero. Parlare più lingue e saper essere a proprio agio in ambienti culturali diversi, a cui non appartieni totalmente, è un grande vantaggio in un mondo interconnesso. Un simile straniero conosce a fondo un posto e la sua cultura e però, al contempo, conserva da essi una giusta distanza e autonomia. Mantenere lo sguardo dello straniero, all’estero come in patria, ti permette di essere più libero. In tal senso, l’Alto Adige, con la sua storia e culture, è una fucina di potenziali “stranieri” di questo tipo, di cui il mondo ha tanto bisogno.
Autrice: Rosanna Pruccoli