Entrando nello studio del pittore meranese Paolo Quaresima si è travolti da un arcobaleno di colori. È normale, essendo dentro ad un laboratorio artistico.
I raggi del sole che penetrano dal lucernario conferiscono all’ambiente un tratto immacolato e pulito, nonostante tutto attorno si alternino in ordine sparso fogli, acquarelli, libri, costruzioni, ferri da lavoro, sigarette e modellini. Un caos ordinato, si direbbe. E in un angolo ecco spuntare ciotole, teiere, brocche e secchi, protagonisti indiscussi delle sue opere.
“Ma non pensate che questo casino sia la normalità per noi pittori”, tiene a precisare.
Quaresima si è specializzato nella realizzazione di quadri che sono una via di mezzo tra la pittura d’interni e la natura morta: costruisce una scena con i suoi oggetti disponendoli in maniera armoniosa per forma e colore e poi li mette in scena sulla parete attraverso il suo pennello.
Di fatto è un maestro nel raccontare lo scorrere della vita attraverso gli oggetti di uso quotidiano.”È un mestiere per cui ci vuole tanto tempo ad allenare l’occhio rendendolo sensibile alle diverse sfumature di colore. E io ci ho dedicato la vita intera”.
Quaresima, come definirebbe le sue opere?
Le reputo degli ambienti, teatrini, scorci sul mondo. Delle messe in scena in cui l’uomo è un attore invisibile, come se fosse appena uscito dall’inquadratura. Tendo a cercare il fascino della quotidianità. Perché nelle piccole cose di tutti i giorni si nascondono tracce della nostra vita.
Oggi si riesce a vivere di arte?
Ancora oggi non so cosa voglia dire fare arte. Io sono un pittore, artista per me è una parola troppo grossa. La competitività sul mercato è influenzata dalle scelte di ciascuno. Quando mi sono reso conto che potevo offrire un prodotto di qualità mi sono subito messo alla ricerca di gallerie disposte a ospitare le mie opere, perché dipingere è un lavoro, vendere quadri è un altro. Oggi è necessario costruire una forte rete di contatti e fidelizzare il cliente. All’inizio è stato difficile, ora sono più di dieci anni che collaboro con una galleria che si divide tra Capri, Positano, Ravello e Siracusa con cui sono riuscito ad allargare il mio mercato a livello internazionale.
In che modo?
In questi luoghi di villeggiatura arrivano turisti da tutto il mondo che vogliono vivere l’Italia a 360°: dal cibo, al mare, all’arte. Molti di loro cercano souvenir e opere particolari che nei loro paesi non troverebbero. È il contesto giusto dove poter vendere i miei pezzi.
Che effetti ha avuto la pandemia?
Il 2020 è stato un anno complicato. La paura diffusa del virus ha giocato da freno psicologico sull’acquisto delle opere. La situazione si è sbloccata solo la scorsa estate. Per fortuna avendo sempre continuato a dipingere sono riuscito a vendere gran parte dei pezzi realizzati. Rimane comunque un mercato ad alto rischio, e anche la guerra in Ucraina può avere i suoi effetti negativi.
I social hanno modificato la vostra professione?
Io ho aperto un profilo Instagram qualche anno fa quasi per caso. Lo reputo più una vetrina, un biglietto da visita, che un canale di vendita. Chi compra i miei quadri è perché già mi conosce o perché li vede dal vivo. È importante avere un impatto diretto con l’opera. Mi piace utilizzare il profilo per coinvolgere il pubblico attraverso i ‘work in progress’, ispirando studenti o altri artisti. È uno strumento simpatico per vivere il lavoro, ma non lo stravolge.
Merano che rapporto ha con l’arte?
È una domanda molto difficile (ride, ndr). Oggi è impossibile dire ‘faccio il pittore a Merano perché vendo i miei quadri a Merano’. Non può accadere. Lo sguardo di chi fa questo lavoro deve sempre essere fuori dai confini, il più globalizzato possibile. Basti pensare che Merano non ha neanche una galleria d’arte, ci sono più che altro spazi espositivi. C’è un sistema artistico un po’ povero e che andrebbe ripensato.
Lei è sempre rimasto a Merano: come vede la città oggi?
Merano offre grandi possibilità ma presenta anche svantaggi enormi. A partire dai costi, come affitti o spese. Ma anche in termini di posti di lavoro. Io per aprire il mio laboratorio ho dovuto fare grandi sacrifici, e sto ancora pagando. Sono problemi seri che condividiamo con chiunque abiti in località turistiche. Ma è una città che amo e per questo sono sempre rimasto qua a coltivare la mia passione…
Qual è l’aspetto che maggiormente l’affascina del suo lavoro?
Amo il cammino quotidiano nel cercare di realizzare qualcosa di più bello del giorno prima. La bellezza del mio lavoro è l’essere sempre in tensione per cercare un qualcosa di più. L’arte non è un bene necessario ma indispensabile, è l’essenza umana, è la ricerca della bellezza. Andare a cercare quel determinato colore, quel contrasto, quella pennellata per me è vita. Gocce di splendore, come diceva De André.
Autore: Alexander Ginestous