Il confine invisibile dell’Unterland

Attualità | 25/8/2022

Quando ci spostiamo da un luogo all’altro, notiamo le difformità della lingua parlata. Mutano i vocaboli, cambia la pronuncia. Ciò nonostante, ci troviamo in un contesto linguistico unico, ben riconoscibile. Diverso il caso dei luoghi che fungono da confine linguistico, in tedesco “Sprachgrenze”.Da un idioma si passa improvvisamente a un altro.

Curiosamente, questi territori presentano spesso aspetti di entrambe le culture “confinanti” e diventano, per così dire, misti o “contaminati”, ovviamente dal punto di vista della lingua. È questo il caso di Salorno e della Bassa Atesina, che si contraddistingue come zona permeata da elementi culturali eterogenei ma, nel contempo, coesistenti.
È la Sprachgrenze per antonomasia del Tirolo meridionale. “Bis zur Salurner Klaus…” recita anche un noto Heimatlied. Perché? Da quando è così?
Questo confine non esisteva al tempo dei Romani. Arrivati i cosiddetti popoli barbarici, dal V secolo in poi andò lentamente a formarsi la Sprachgrenze come la conosciamo oggi, sovrapponendosi, in qualche misura, a vecchi confini linguistici riconoscibili solo grazie a qualche singola espressione sopravvissuta o al nome di un luogo. Dopo i Goti di Teodorico (Dietrich) arrivarono Longobardi e Baiuvari. I primi penetrarono in Italia dal Friuli, espandendosi in pianura padana. A nord gli arimanni longobardi arrivarono fino in Alto Adige lasciando significative tracce della loro presenza nella lingua e nelle leggi. Il punto di riferimento dei Longobardi era Trento, sede del ducato.
Da qui, con le tipiche curte, amministrarono la Bassa Atesina, ampi territori in val di Fiemme e Val d’Ega, Renon e S. Genesio (di cui faceva parte anche il piccolo villaggio di Bolzano o la parte denominata Villa / Dorf), nonché l’Oltradige fino nel meranese. La lingua latina fu sostituita dal volgare che oggi conosciamo come ladino. Questa lingua rimase in uso nell’Unterland fino al XII secolo, quando fu definitivamente soppiantata dal todesc baiuvaro.
L’avanzata dei Baiuvari si fermò a sud di Bolzano, dove andò a scontrarsi con la presenza dei Longobardi romanizzati.
La dialettica tra questi due popoli determinò, nel corso di quattro o cinque secoli, il formarsi, su un’ipotetica e mai fissa linea di confine politico, anche una invisibile ma marcata linea di confine linguistico. Per assurdo, si trattava di due popoli germanici ma i primi arrivati erano stati fortemente romanizzati mentre i Baiuvari rimasero “puri”.
Se il confine politico si stabilizzò tra Laives e Bronzolo, quello linguistico sembrava fissato nella piana rotaliana a nord di Lavis. È strano che nell’atto con cui l’imperatore Corrado II nel 1027 donò le contee di Bolzano e Trento al principe-vescovo trentino, non venga mai specificato il confine tra i due territori. Certo è che Bolzano, città relativamente nuova, apparteneva al ducato baiuvaro, Trento, città storica, a quello longobardo. In un atto notarile del 1372 si parla di “welscher Wein” con riferimento ai vigneti e vini a sud dell’Efeis / Avisio. Nel XV e XVI secolo era considerato ancora il fiume Efeis la linea di confine culturale tra mondo italico e germanico, dato che, per esempio, i comuni di Nefis (Lavis), Pressan (Pressano), Faid (Faedo), Jaufen (Giovo) e St. Michael (S. Michele) facevano parte della giurisdizione di Königsberg (Monreale) e quindi venivano considerati tedeschi a tutti gli effetti come pure, sull’altro versante, Deutsch- o Kronmetz (Mezzocorona).
Dal XVI secolo la Sprachgrenze iniziò a retrocedere verso nord, e Marx Sittich von Wolkenstein descrive quegli stessi paesi come popolati da “welsches Volk”. Nel 1751 nientemeno che Diderot nella sua Enciclopedia descrisse Salorno come “Un gros bourg aux confins d’Allemagne et Italie, dont il fait la separation”. Insomma, la linea immaginaria era finalmente arrivata all’ombra della Chiusa, dove si trova ancora oggi. Va anche detto, che politicamente entrambi i territori che il confine separava erano di fatto austriaci. Da li in poi tutti gli scrittori, politici e studiosi parlano sempre di “deutscher Boden bis Salurn”.

Autore: Reinhard Christanell

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