Valter Mantovani è un uomo di poche parole, e molti fatti, per l’esattezza “manufatti”. Scacchiere, sculture, scatole, disegni e molto ancora: sono centinaia gli oggetti che negli anni Mantovani ha creato, con ostinata precisione e meticolosa serietà, nella casa di via Parma a Bolzano, nel quartiere Don Bosco. La casa in cui è nato e, da pensionato, abita ancora oggi. Qui da bambino giocava nel cortile, “quando c’erano orde di ragazzi e una sola macchina, quella del Signor Palma, una seicento” ricorda Mantovani. La passione per il disegno nasce da piccolo in Valter, grazie a una scatola di colori regalata dal nonno: “i miei quaderni delle regioni d’Italia avevano tutti i bordini riempiti di disegni”, osserva sorridendo. Il papà operaio riconosce il suo talento e gli dice che, se convinto, la famiglia avrebbe fatto i sacrifici necessari per fargli proseguire gli studi artistici. “Ma non me la sono sentita”, racconta Valter, che, secondo di tre fratelli, studia all’Istituto Tecnico di via Cadorna e diventa perito meccanico.
Ciò nonostante, la vena artistica e creativa non lo abbandonerà mai. Si appoggia a un’officina di un amico a Oltrisarco e realizza oggetti con i materiali di scarto: manici di scopa e di martello, pannelli di plexiglas, masonite, pvc, tappi di sughero destinati all’immondizia, sotto le sue abili mani diventano scacchiere, sculture, contenitori. Tornio, pirografo, trapano a colonna per lui non hanno segreti – ma spesso scolpisce gli oggetti direttamente. Di scacchiere e scacchi ne realizza a decine, in legno, plexiglas e anche sughero. Ogni pezzo è un piccolo capolavoro di perfezione artigianale e di design, coerente nei colori e nei materiali, attento a ogni dettaglio: di ogni pedina – e sono 32! – viene valutato il peso, la forma, l’armonia con il tutto. Un lavoro senza prezzo – Valter infatti non vende le sue scacchiere, piuttosto le regala e comunque le cataloga scrupolosamente. Lo stesso salotto in cui ci accoglie è costellato delle sue creazioni: una scultura di un ciclista che ricorda il dinamismo futurista, scatole multicolore e grandi disegni – “mi sono concentrato soprattutto su questi negli ultimi tempi, perché non hanno bisogno di molto spazio”- racconta. I disegni – suddivisi in “astratti” e “geometrici” – sono mirabolanti esplosioni di colore, composizioni caleidoscopiche, che ricordano le opere dell’astrattismo geometrico. Lavori capaci di “bucare” la superficie della carta e solleticare l’iride, nonostante la bidimensionalità. “Non mi piace rappresentare 1:1 le cose, preferisco che vengano suggerite” spiega Mantovani, che ha intuito il potere dell’allusione e di una traccia, più forte di un messaggio urlato. Eppure dice di non seguire l’arte, ma di amare i colori fiammeggianti di Van Gogh e ammirare Escher. Per il disegno potrebbe affidarsi al digitale. “Certo, ma è un po’ come per la bici elettrica: finché ce la faccio con le mie forze, preferisco pedalare senza aiuti”, risponde. Insomma un talento “completo”, che in un altro tempo e vita avrebbe potuto sedere in una classe del Bauhaus. Invece le sue creazioni sono rimaste in uno scrigno, scarsamente conosciute: i disegni sono stati presentati in una mostra all’ospedale di Bolzano, mentre per il raduno degli Alpini nel 2012 ha realizzato un manifesto per “Telefono Amico”. Ma cosa lo spinge allora a dedicarsi a oggetti e disegni?”. “Mi perdo nella concentrazione e sento esprimere la mia essenza, il meglio di me”, ci ha risposto Mantovani. Insomma, uno “stato di flow”, di flusso, direbbero i life designer. O, semplicemente, il saper godere dei propri talenti senza bisogno del plauso del pubblico a ogni costo.
Autrice: Caterina Longo
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